Take Shelter (Ripararsi) è il titolo dell’opera seconda di Jeff Nichols che ha ricevuto numerosi premi, il maggiore dei quali gli è stato assegnato dalla giuria della critica internazionale (Fipresci) al festival di Cannes 2011. Vi si racconta la lucida follia di Curtis LaForche, operaio trivellatore che vive in una piccola cittadina dell’Ohio con moglie e figlioletta, quest’ultima muta dalla nascita. La vita è dura, i soldi non bastano mai e le cose peggiorano quando l’uomo inizia ad avere visioni terribili di uragani, piogge torrenziali e animali impazziti.
Ossessionato dal continuo crescere di questi incubi, decide di rimettere in funzione e ampliare un vecchio rifugio antitempesta (antiatomico?) dotandolo di tutto ciò che serve perche lui e la famiglia, maschere antigas comprese, rimangano al riparo per molto tempo . Nel compiere quest’opera spende i risparmi di famiglia e s’indebita pesantemente. Ovvio che moglie e vicini inizino a guardarlo con sospetto e a prendere le distanze. Alla fine la temuta tempesta arriva davvero, ma è solo una delle tante che devastano periodicamente quelle terre. Ora non gli resta che affidarsi a uno psichiatra e prepararsi a un ricovero prolungato. Nell’attesa va al mare con la famiglia ed è proprio sulla spiaggia che, improvvisamente all'orizzonte le nuvole si fanno cupe e si annunciano minacciose trombe d’aria. E’ un film molto bello, facilmente leggibile come metafora delle paure che travolgono la vita di milioni di cittadini medi davanti a scenari sociali che inanellano tragedie terribili, come l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, o devastanti crisi economiche. La pazzia del protagonista diventa, in questo modo, la metafora di una condizione più generale che ha gettato nell’ambascia un intero popolo, immergendolo in scenari da incubo di difficile o impossibile lettura. E’ un esempio di cinema che apparentemente parla d’altro, ma che, in realtà ha i piedi ben fermi sulla terra.