Allo stesso modo la storia del famoso regista in perenne stato alcolico ma sensibile alla musica del suo autista, immaginata da Pablo Trapero, ci dice poco sulla realtà e sugli occhi con cui Cuba è vita dall’esterno. Assai più convincente Juan Carlos Tabio, non a caso il solo cubano del gruppo, che racconta una madre che tenta disperatamente di tenere in piedi il bilancio familiare. Più convenzionali gli interventi di Gaspar Noè – il rito pagano cui una famiglia sottopone la figlia scoperta lesbica – e il dramma quasi rusticano messo in scena da Julio Madem fra un giocatore di baseball, un imprenditore musicale spagnolo e la giovane cantante contesa dai due. Certamente migliore, anche se non straordinario, il racconto fatto da Laurent Cantet su un’anziana che trasforma la propria casa in una sorta di tempio in cui si mescolano riti mariani e animismo. Nel complesso è un’opera dotata di una certa originalità, ma tutt’altro che omogenea.