La sceneggiatura di Cosmopolis di David Cronenberg ha origine nel racconto omonimo di Don De Lillo pubblicato nel 2003. E’ un’origine che la regia ha rispettato sin troppo pesantemente. Un giovane yuppie, milionario in dollari anche se neppure trentenne, decide di andare a farsi aggiustare i capelli da un vecchio parrucchiere da cui si serve sin da quando era bambino. Solo che il negozio dell’anziano artigiano è dalla parte opposta della città rispetto all’ufficio e l’appartamento del ricco finanziere e il traffico della metropoli è sconvolto dalle modifiche alla circolazione causate dalla visita del Presidente degli Strati Uniti, dalle manifestazioni di protesta dei giovani rivoluzionari e dal lento funerale di una stella della musica rock.
Quest’insieme d’inciampi fa sì che occorra un’intera giornata per coprire un tragitto che normalmente si fa in meno di un’ora. In più la guardia del corpo del potente finanziere è stata avvertita dalla sede centrale che c’è qualcuno pronto ad attentare alla vita del protetto. Il film è quasi interamente girato all’interno della bianca limousine superaccessoriata con cui il ricco si sposta, vive, riceve i collaboratori, fa all’amore con moglie e amanti varie e soffre di dialoghi pesantemente letterari, che tarpano completamente le ali al racconto cinematografico. E’ un florilegio di filosofemi e riflessioni sul vivere moderno che relegano in secondo piano, quanto accade nella realtà. Scontri di strada, manifestazioni, riti collettivi sono citati e detti, non visti o raccontati per immagini. E’ un risultato davvero strano per un cineasta che, in passato - si pensi a La mosca (The Fly, 1986) o a Il pasto nudo (Naked Lunch, 1991) – ha fornito prova di grandi capacità visionarie. Doti che qui lascano il campo a filosofemi e dialoghi degni più di un copione da teatro da camera, che a una sceneggiatura cinematografica.