Si dice che, a volte, anche i gegni dormono. Deve essere ciò che è capitato a Woody Allen per To Rome with Love, modesto carosello di vari personaggi sullo sfondo della Capitale. L’insoddisfazione non nasce dall’aver presentato una città del tutto fantastica – senza traffico, immondizia, rumore – poiché il nostro non è mai stato un cineasta realistico, la sua Manhattan non era certo frutto di un documentario urbano, così come non ha avuto remore a chiacchierare con fantasmi o con madri assunte al cielo. Il problema vero e anche un po’ imbarazzante è nella scelta di riciclare vecchi materiali, suoi o di altri, senza preoccuparsi di rendere esplicito omaggio alle fonti. Fra le varie storie e i molti personaggi che popolano il film, almeno un paio sono, diciamo, di riporto.
L’episodio della sposina che, smarrendosi per Roma, incontra casualmente un attore di cui è fan, segue pedissequamente le orme de Lo sceicco Bianco (1952) di Federico Fellini; quello dell’architetto affermato che, come un fantasma invisibile agli altri, mette in guardia un giovane collega dalle arti seduttive di un’attricetta, ha eco esplicita nell'Humphrey Bogart che consiglia il protagonista di Provaci ancora Sam (Play It Again, Sam) su come conquistare le donne. Un film che Herbert Ross ha tratto da un testo teatrale dello stesso Woody Allen. Ciò che resta rifulge quasi solo nell’episodio, interpretato dallo stesso regista, sul tenore che riesce a cantare bene solo quando è sotto la doccia, mentre l’episodio dell’impiegato divenuto inspiegabilmente e improvvisamente famoso non riesce a mordere neppure superficialmente il caso degli incapaci assunti alla notorietà solo per essere comparsi sul piccolo schermo. Come dire un film piuttosto sgangherato.