This Must Be The Place (Il posto deve essere questo), è il titolo di una canzone dei Talking Heads ed è anche quello dell’ultimo film di Paolo Sorrentino, interpretato in modo splendido da Sean Penn in abbigliamento dark – femminile L'attore crea al personaggio di Cheyenne, una figura dichiaratamente ispirata al leader dei Cure Robert Smith. E’ un’opera originale e apprezzabile, interessante soprattutto per il personaggio che mette al centro – un ex- star della musica rock ritiratosi in una splendida dimora di campagna - per la trama che somma ricerca del padre e caccia ai criminali nazisti ancora in fuga, per lo sguardo che rivolge all’America profonda. Il cantante rock , giunto alla cinquantina, riceve la notizia della morte del genitore con cui non parla da trent'anni. Parte per New York – in nave, poiché non prende mai gli aerei – assiste ai funerali e scopre che il defunto aveva dato la caccia per tutta la vita all’aguzzino che lo aveva angariato durante la prigionia nel campo di sterminio di Auschwitz.
Si tratta di un pesce piccolo, come gli dice un famoso cacciatore di criminali nazisti, ma per lui trovarlo diventa una ragione di vita e di riconciliazione postuma con il genitore. Inizia in questo modo un viaggio nel profondo degli Stati Uniti, con incontri originali, paesaggi piatti e solitari, pranzi sconsolati in tavole calde derute, soggiorni in motel pulciosi. E’ un modo di riunirsi sia alla memoria sia all’esistenza di un padre di cui scopre non sapere quasi niente. Alla fine, anche grazie al cacciatore professionale di criminali, il fuggiasco novantenne è scovato in un paesaggio innevato dell’Utah, ma la vendetta sarà solo quella di farlo marciare nudo nella neve, così come lui era solito fare con i prigionieri del campo di sterminio. A questo punto il viaggio è compiuto e il cantante, riacquistato l’aspetto normale, può ritornare a casa. Il film è originale, un po’ come lo sono almeno tre - L’uomo in più (1999), Le conseguenze dell’amore (2004), L’amico di famiglia (2006) – dei cinque che compongono la filmografia di questo regista, mentre il quinto, Il divo (2008), rientra più nel cinema politico. E’ anche un’opera magnificamente girata e interpretata in modo sublime. Certo, i temi affrontati – la ricerca del padre, la conservazione della memoria, il valore effimero della fama conquistata in certe forme d’arte – non sono nuovi, ma è la maniera con cui la regia li riunisce e presenta a dare spessore all’opera e a trasformarla in proposta nuova e straordinaria.