Poco dopo l’uscita di Centochiodi Ermanno Olmi (1931) aveva dichiarato che quello sarebbe stato il suo ultimo film e che aveva deciso di ritornare all’amato mondo del documentario. Le negatività politiche, sociali e culturali subentrate nella situazione del paese l’hanno convinto della necessità di cambiare avviso e rimettersi dietro la macchina da presa per raccontare storie di ampio valore metaforico.
Tale è Il villaggio di cartone. Un vecchio prete, parroco di una chiesa sconsacrata, perché non serve più, aspetta malinconicamente di morire portandosi dietro dubbi e domande senza risposta che l’hanno tormentato anche quando i fedeli accorrevano numerosi alla messa. In una notte di tempesta, mentre da fuori giungono rumori di guerra, un gruppo di africani entra nell’edificio vuoto e v’improvvisa una tendopoli, appunto un villaggio di cartone. Il sacerdote li accoglie e aiuta sin che può contro ottusi rappresentanti della legge e le trame di altri africani, pronti a sfruttare i loro compagni più sfortunati. Il tutto sino alla partenza della maggioranza dei migranti verso la Francia, un nuovo viaggio della speranza dall’esito quanto mai incerto, e la decisione di un piccolo gruppo di ritornare a casa perché: laggiù l’Africa vive, mentre in Europa muore. Il regista inserisce nel film molti elementi dell’iconografia cattolica – la natività, con il piccolo nero che nasce sotto la croce, Giuda che tradisce i propri simili, la violenza del mondo e la disperazione dei giusti – ma lo fa senza caricare nessun elemento di soverchi dati ideologici. Sembra quasi di assistere a un presepio, una Sacra Rappresentazione popolare non inquinata da forzature mercantili. Il discorso è chiaro e mira alla necessità di un recupero dei valori fondamentali della religione e al riscatto della fede dalle contaminazioni mondane perché fare il bene è più importante dell’aver fede. E’ un film a tesi, a tratti quasi ingenuo ma vigoroso nella perorazione morale. E' una grande lezione di vita, prima ancora che di cinema, da un maestro schivo e tenace.