Un’altra verità (Route Irisch, letteralmente: La via irlandese che è il nome dato dai militari alla strada che collega l’aeroporto di Bagdad alla Zona verde, il quartiere superprotetto in cui hanno sede le ambasciate e gli edifici pubblici) è il titolo dell’ultimo film di Ken Loach. Al centro della vicenda c’è un contractor, un militare che fa parte di quei soldati privati che assicurano la protezione alle persone importanti e ai giornalisti che soggiornano nella capitale irachena. Ritornato a Liverpool - dopo un lungo soggiorno in scenari di guerra, prima come membro dei reparti speciali inglesi poi come militare privato - va in crisi quando gli annunciano che il suo migliore amico, da lui convinto a farsi mercenario, è morto in un agguato sulla famosa strada.
Tuttavia sono troppe le cose che non quadrano e lo inducono a mettersi alla ricerca di ciò che è realmente successo. Verità che emergerà in tutto il suo orrore quando scoprirà che il compagno è stato, di fatto, ammazzato da uomini della stessa società che l’aveva ingaggiato e i cui dirigenti erano in panico per le rilevazioni che lui voleva fare in merito a una delle tante uccisioni ingiustificate di civili compite dai suoi colleghi, omicidi di cui aveva le prove. Il protagonista riuscirà a fare vendetta, uccidendo uno dei complici della montatura e facendo saltare in aria i dirigenti della società, questo subito dopo quei manager hanno firmato un accordo con unazienda americana, direttamente controllata dalla CIA, intesa che apre loro nuovi orizzonti in altri paesi in guerra. Il tema della privatizzazione strisciante dei conflitti è al centro della denuncia portata vanti dal film. Un crimine che, come ricorda lo sceneggiatore Paul Laverty, ha consentito a David Lesar - presidente dell’Halliburton, la società americana di cui è stato a capo Dick Cheney, uno dei punti di forza dell’amministrazione di George W. Bush - di guadagnare poco meno di 43 milioni di dollari nel solo 2004. Ancora una volta Ken Loach affronta un tema di grande attualità e lo fa con un film lineare, plausibile, coraggioso anche se non privo di qualche punta retorica. Il vero problema è che questa volta questo cineasta perde qualche cosa nella sua forza, come accaduto le volte che ha abbandonato la miscela di denuncia e ironia che rimpolpa i suoi testi migliori in favore di quella del dramma a tutto tondo. In questo caso ci consegna un’opera bella e necessaria, ma non perfetta come alcuni dei suoi testi in cui dominava lo sguardo sul proletariato e mancava la voglia dell’avventura.