Il crac Parmalat è stato il maggior scandalo finanziario che abbia coinvolto un’azienda europea negli ultimi cinquant’anni. A processo avviato si è stimato che il buco lasciato da Callisto Tanzi e dai suoi compici, in prima fila il direttore finanziario Fausto Tonna, sia stato di ben 14 miliardi di euro, l’importo di una legge finanziaria di media forza. Un disastro le cui origini datano dai primi anni novanta e che fu causato, oltre che da scelte imprenditoriali errate, dall’intreccio perverso fra imprenditoria e politica, quest’ultima intesa in un vasto ventaglio che non escludeva uomini della sinistra, ma che ebbe i suoi punti di forza in alcuni maggiorenti della Democrazia Cristiana, prima, e in personaggi del centrodestra berlusconiano, poi.
Questo vasto imbroglio coinvolse più di quindicimila risparmiatori e ha ispirato Andrea Molaioli (1967) che gli ha dedicato il suo secondo lungometraggio, dopo l’ottimo La ragazza del lago (2007). Il gioiellino ripercorre le tappe di questo scandalo facendo perno su due protagonisti: il presidente e il responsabile finanziario. Figure che la regia ammanta di tragicità delinquenziale, ma che, anche perché affidate a due attori straordinari come Remo Girone e Toni Servillo, finiscono quasi per soggiogare lo spettatore che difficilmente riesce a sfuggire al fascino che emanano. E’ questo uno dei problemi di qualsiasi opera che metta al centro grandi criminali (Bertolt Brecht denunciava l’esaltazione dei grandi mascalzoni in favore del disvelamento dei grandi delitti) facendone il centro di vicende molto drammatiche, in ogni caso tali da suscitare emozioni profonde. Segnalato questo pericolo, c’è da dire che il film si presenta di ottima qualità sia per la confezione sia per il modo in cui la regia controlla la storia. In poche parole è un grande film da vedere con occhio freddo e spirito attento a non farsi coinvolgere dalla grandezza criminale dei protagonisti.