L’ultima fatica dell’inglese Mike Leight, Another Year (Un altro anno), ha al centro quella che potremmo definire una famiglia perfetta. Gerri è psicologa e lavora in una struttura pubblica, Tom è geologo e sta collaborando ai carotaggi per la costruzione di una nuova fognatura londinese. Vanno d’amore e d’accordo, amano la buona cucina, coltivano un orto biologico e curano i fiori in giardino, sono tranquilli e privi di problemi, il figlio sta percorrendo la sua strada, è andato via di casa, ma mentirne ottimi rapporti con loro. Attorno, un mondo che pare impazzito fatto com’è di persone insicure, infelici, sfortunate, incapaci di reggere il ritmo della vita.
S’inizia con una casalinga che vuole le siano prescritti dei sonniferi, altrimenti non riesce a dormire e il sonno è il solo momento in cui può allontanarsi da una vita infelice. Si prosegue - sarà uno delle assi del film - con la donna stagionata ma ancora velleitaria, incapace di fare qualsiasi cosa pratica, tranne il lavoro d’ufficio, pessima cuoca, innamorata insensatamente del figlio della coppia felice. Si procede con il fratello di Tom annichilito dal dolore per la morte della moglie e in pieno conflitto con il figlio. Tutto questo è cadenzato dallo scorrere delle stagioni, dalla primavera all’inverno. Forse non è l’opera migliore di questo regista, che spesso si è rivolto a temi di forte impatto sociale come Tutto o niente (All or Nothing, 2002) o Il segreto di Vera Drake (Vera Drake, Leone d’Oro alla Mostra di Venezia 2004), ma che non ha mai disdegnato la commedia o, persino, il biografico - musicale (Topsy-Turvy, 1999). Questa volta il disegno riguarda, in particolare, la borghesia medio - alta. Nessuno dei personaggi ha veri problemi economici, ma tutti - tranne la coppia catalizzatrice - sono preda a malesseri e a triboli esistenziali che rendono loro difficile il vivere. In questo modo finiscono coll’assumere un ruolo di protagonisti relegando sullo sfondo quelli che, a prima vista, appaiono al centro del film. Questo nel senso che le figure di questi uomini e donne turbati e insicuri costruiscono qualche cosa di molto vivo e si trasformano nei veri poli d’attrazione dello sguardo dello spettatore.