Sergio Castellitto è un ottimo attore, di teatro e cinema, ma un regista non straordinario. I tre film che ha diretto sino ad ora - Libero Burro (1999), Non ti muovere (2004) e ora La bellezza del somaro, tutti sceneggiati con la moglie Margaret Mazzantini e tratti da romanzi di quest’ultima – mostrano una forte attenzione alla costruzione psicologica dei personaggi, ma una riuscita solo parziale nello sviluppo del racconto. E’ il caso anche quest’ultima fatica che appare più un susseguirsi di sequenza fra loro scarsamente collegate che non lo sviluppo di una storia vera e propria. Il filo conduttore è quello, tutt’altro che nuovo, dei rapporti fra genitori, benestanti e progressisti, e i figli insoddisfatti, ribelli e sostanzialmente infelici anche se non sanno dare un senso razionale al loro disagio.
Un archivio di problemi irrisolti che nascono quando, durante un fine settimana speso fra amici nel classico casale nella campagna toscana, la diciassettenne rampolla di una coppia medio borghese – lei è psicologa in un’ASL romana, lui un architetto titolare di uno studio ben avviato – presenta a genitori e amici il suo nuovo fidanzato: un settantenne colto e ironico. Atteggiamenti progressisti, rapporti aperti e, apparentemente, liberali ed equilibrati saltano in aria come birilli, svelando insoddisfazioni, meschinità, corruzione, compromessi, amanti e sessualità represse. C’è poco di nuovo in tutto questo, comprese le numerose citazioni di altri film e alcuni fellinismi, e il bilancio non migliora quando si metta in conto anche un procedere a singhiozzo con blocchi di sequenze che comunicano malamente le une con le altre, ricerca, a tutti i costi, di un finale accomodante. In altre parole un film sbilanciato e pasticciato in cui naufragano anche i non pochi momenti felici che rimangono isolati e non collegati a un discorso minimamnete organico.