Aldo (Baglio, 1958), Giovanni (Storti, 1957) e Giacomo (Poretti, 1956) si collocano, fra i comici italiani, nel gruppo di quelli particolarmente inventivi e originali. La loro poetica trova espressione fortunata nelle storie brevi e nei personaggi inventati di volta in volta. E’ questa caratteristica che rende il loro lavoro particolarmente fruttuoso sul palcoscenico o in televisione, ove riescono a costruire sketch dallo sviluppo fulminante e personaggi che qualche volta entrano nel sentire comune (ricordate il Tafazzi che si percuoteva le parti basse con una bottiglia d’acqua minerale?).
Questa loro caratteristica li rende poco adatti al racconto lungo richiesto dalla narrazione cinematografica, tanto che tutti i loro film, escluso Anplagghed al cinema (2006) di Arturo Brachetti e Rinaldo Gaspari che altro non à se non la ripresa di uno spettacolo teatrale, hanno una forza notevolmente inferiore alle performance sul palcoscenico. Si potrebbe dire che quello in cui danno il meglio è un mondo di corto respiro, usando questa definizione in senso tutt’altro che riduttivo, anzi, quale sinonimo d’intuizione rapida e fulminante. La scarsa riuscita al cinema è anche responsabilità dei registi che li hanno diretti sino ad ora: Massimo Venier (Tre uomini e una gamba, 1997 - Così è la vita, 1998 - Chiedimi se sono felice, 2000 - La leggenda di Al, John e Jack, 2002) e Marcello Cesena (Il cosmo sul comò, 2008). Paolo Genovesse, che firma questo La banda dei Babbi Natale, cerca di superare questo limite costruendo una storia che dovrebbe avere una sua coerenza e sviluppo. Ci riesce solo in parte, poiché questa notte di vigilia natalizia che i tre sono costretti a passare in un commissariato dopo essere stati arrestati mentre tentavano di scalare la facciata di un palazzo travestiti da Babbi Natale, diventa subito il pretesto per raccontare le storie di tre personaggi – un medico vedovo, un veterinario rubacuori e un disoccupato scommettitore inveterato – tagliati addosso ai tre attori come altrettanti vestiti televisivi o scenici. La confezione è di buona struttura, le volgarità sono limitate al minimo, alcune trovate (memorabile quella della scimmia che gesticola e guida l’auto come un umano) sono davvero riuscite, ma ciò che manca è la compattezza del racconto. Un difetto non trascurabile, ma che non compromette in modo irreparabile il bilancio di un film leggero e, a tratti, molto divertente.