L’immortale (L’immortel), che l’attore e regista Richard Berry ha tratto dal libro omonimo di Franz-Olivier Giesbert, s’inscrive nel classico filone del film noir, un genere particolarmente caro al cinema francese. Di suo il cineasta vi ha aggiunto un sovraccarico di violenza e d’azione – inseguimenti di auto, assalti ai covi degli avversari – che provengono più dal cinema d’azione hollywoodiano che non dalla tradizione transalpina.
Questo eccesso di eventi ha finito col mettere in secondo piano la psicologia dei personaggi, vero cavallo di battaglia del genere. Questa volta la storia, interamente ambientata a Marsiglia, racconta di un ex capomafia, ancora legato a obsoleti ideali della vecchia delinquenza (non vuole trattare la droga e si ostina a non toccare donne e bambini), che decide di mettersi in pensione, ma i cui complici pensano bene di levarlo di mezzo. Lo aggrediscono e gli mettono in corpo ben ventidue pallottole senza ucciderlo. Va da sé che il tipo, appena rimessosi voglia rendere la pariglia a mancati killer e ai loro mandanti. Ci riesce mandando al cimitero un bel po’ di delinquenti. Gli fa da ammirato contraltare una poliziotta incorruttibile, il cui marito è stato ucciso proprio dal mafioso che vuole morto l’ex - socio. In opere di questo tipo un ruolo fondamentale è assegnato agli interpreti e bisogna dire che l’intero cast, dal divo Jean Reno alla giovane poliziotta Marina Foïs, costituisce uno dei valori forti del film per professionalità ed esattezza di facce e gesti. Un film che avrebbe potuto essere memorabile, ma che si accontenta di raggiungere una buona qualità.