Nel 1990 Giuseppe Tornatore diresse, terzo film della sua carriera, Stanno tutti bene che fu presentato al festival di Cannes dello stesso anno. Vi si racconta la storia di un attempato padre siciliano che parte da Trapani per far visita, a sorpresa, ai cinque figli sparsi per l’Italia. Arriva a Napoli, ove non riesce a incontrare il rampollo che in quella città, prosegue per Roma, Firenze, Milano e Torino, imbattendosi ovunque in situazioni ben diverse da quelle che gli erano state raccontate. Il film si chiude con un piccolo colpo di scena: scopriamo che il protagonista, un bravissimo Marcello Mastroianni, è vedovo da poco e la moglie, cui aveva finto di telefonare ogni giorno, è morta da settimane.
A diciannove anni di distanza l’inglese Kirk Jones, specialista in spot pubblicitari, ha ripreso in mano quella sceneggiatura a beneficio di una superstar, invero abbastanza appannata, hollywoodiana: Robert De Niro. I cambiamenti apportati sono stati modesti, ma molto indicativi, e in ogni caso capaci di alterare il senso profondo dell’opera. Il triste finale è stato sostituito da un lieto fine in pretto stile Mecca del cinema, la suspense legata al colpo di scena finale (la recente vedovanza) è stata sostituita con l’esplicitazione, sin dalle primissime immagini, dello stato del protagonista. In questo modo quel po’ di amaro e positivo che c’era nel film italiano è stato piegato a un sentimentalismo melenso, accomodante e decisamente scostante. In questo modo un film, pieno di errori, ma non esente da una qualche originalità, è stato trasformato in una commediola moralista costruita solo per dare spazio a un attore sulla via del tramonto.