Rosario vive in Germania da quindici anni, dopo essere fuggito dalla Campania per evitare la vendetta di alcuni camorristi. Tutto sembra essersi accomodato: una nuova famiglia, un’identità diversa, un albergo - ristorante di buon successo. All’improvviso il passato ritorna sotto le sembianze del figlio che ha abbandonato in Italia e che arriva nel suo locale con un complice. Hanno il compito di ammazzare un manager tedesco che ostacola gli affari della malavita organizzata nel business dei rifiuti. Lo sviluppo della vicenda pencola verso il film d’azione, più che verso il testo complesso e socialmente motivato, come dimostra la sparatoria finale e la nuova fuga cui è costretto il protagonista.
Anche se, a tratti, è possibile cogliere qualche traccia sociale – gli interessi intorno all’immondizia, il ricordo della strage di Duisburg nell’agosto 2007 – il tono dominante è quello del noir con vari intoppi nella fluidità narrativa e nella costruzione del racconto. Lo stesso protagonista, Toni Servillo, sembra tendere più alla prestazione professionalmente ordinaria che non alla costruzione di un personaggio complesso, quale dovrebbe essere questo ristoratore, ex killer di camorra. Privato di tale attendibilità centrale, l’intero film ondeggia fra l’ovvio e il prevedibile. Un dato particolarmente negativo è nel tratteggio dei coprotagonisti e dei personaggi minori, a iniziare dai due giovani assassini per finire con la moglie tedesca e il collaboratore - cuciniere. Sono tutte figure sbozzate a colpi d’accetta, malamente costruite, prive di strutture psicologiche accettabili. In poche parole, un film sbagliato e deludente.