Apichatpong Weerasethakul è uno dei pochi cineasti tailandesi ed anche fra i rari autori capaci di piegare il cinema al sopranaturale, alla favola, al mondo dei fantasmi. Il suo ultimo film, Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti (Loong Boonmee raleuk chat), racconta di un anziano malato di diabete che decise di andare a morire in campagna. Durante l’agonia, assistito da una parente zoppa e da un lavoratore laotiano, rincontra la moglie morta da anni, rivede il figlio sotto forma di grande scimmia dagli occhi rossi, parla del passato e del mondo che lo attende. C’è anche tempo per la storia di una brutta principessa, amata da uno schiavo, che gode dei servizi, anche sessuali, di un pesce gatto. Nell’ultima parte, dopo la morte del malato, il film vira alla contemporaneità, con una serie d’immagini fisse che raffigurano uomini armati in tuta mimetica e con la ministoria della donna che l’ha assistito e del monaco che ne ha celebrato il funerale.Nell’estremo finale questi due personaggi si sdoppiano: due di essi rimangono a guardare la televisione che parla di violenza e di guerra e due vanno al ristorante.
Da queste semplici note, che non esauriscono le molte sorprese che attendono lo spettatore durante poco meno di due ore di proiezione, si sarà capito che siamo alla presenza di un’opera in cui la metafora e l’esplosione fantastico - fiabesca la fanno da patrone. Del resto così era anche così in Sud sanaeha (Devotamente vostro, 2002) visto a Cannes otto anni or sono. E’ un tipo di cinema sicuramente personale e di non facile lettura, poiché vi confluiscono moltissimi elementi specifici, come quelli tipici del pensiero religioso che crede alla trasmigrazione dell’anima fra gli uomini, le piante, gli animali e i fantasmi. In ogni caso è un film da festival, che, non a caso ha vinto a Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes.