Passione è la testimonianza dell’amore di John Turturro per il nostro paese e la canzone napoletana. Un amore che non dimentica la grave condizione di degrado in cui versa la città e i suoi abitanti. Molti hanno citato, a proposito di questo film, Carosello napoletano (1954) di Ettore Giannini, senza tenere conto delle profonde differenze che separano le due opere. In primo luogo il vecchio film, per quanto costruito come un monumento alla canzone partenopea, era uno spettacolo a tutto tondo: nasceva da una rivista teatrale, vi comparivano attori noti al pubblico (Paolo Stoppa, Clelia Matania, Sophia Loren) e inseriva le canzoni in scenari evidentemente da palcoscenico.
Questo non per vantare la supremazia di un titolo sull’altro, ma solo per rilevarne la differenza. L’attore e regista italo – americano costruisce, invece, un’operazione del tutto opposta: inserisce il canto in panorami reali, deruti, poveri, degradati a significare come quei versi e quelle voci facciano parte di un profondo sentimento popolare che, vive oggi in mezzo all’abbandono e la sporcizia. Questo a giustificare anche intromissioni di testi per nulla napoletani in senso stretto, come Don Raffaè scritto (in napoletano) da Mauro Pagani, Massimo Bubola, Fabrizio De André e portato al successo da quest’ultimo. L’amore per la napolenità se, da un lato, fa approdare il film a una serie d’interpretazioni di altissimo e modernissimo livello, dall’altro non evita del tutto le scivolate nel folclorico, un folclorico intellettualmente nobile, ma pur sempre un po’ sospetto.