Secondo spettacolo proposto dal Teatro Nazionale di Genova nell’ambito della venticinquesima edizione della Rassegna Drammaturgia Contemporanea. Presentata al Teatro Mercato, la piece del sessantacinquenne franco algerino Mohamed Kacimi nel 2017 è stato uno dei testi più contestati della sezione Off del Festival di Avignone (fondato nel 1947 da Jean Vilar, è il più antico festival esistente in Francia). Le ragioni possono essere molteplici, ma la più importante è probabilmente legata al dialogo tra terrorista e negoziatore che viene portato avanti con un tono dialettico mai troppo drammatico, in cui ai due viene fornita pari dignità. Sono simili come origini (entrambi nati in Francia ma ancora radicati nella cultura islamica) e, probabilmente, come percorso all’interno della società. Non siamo di fronte ad un estremista che ha maturato certe scelte da sempre, ma ad un uomo piantato dalla moglie diciassettenne che gli ha fatto vedere la vita in maniera differente, prendendo posizioni per recuperare fiducia in se stesso. L’uomo è conscio che se abbandona il suo appartamento, per lui sarà difficile rimanere in vita. Per 32 ore cerca di ottenere garanzie dal suo coetaneo, ventitreenne che ha fatto una scelta di vita diametralmente opposta alla sua. Crede e accetta certe proposte per poi immediatamente rimangiarsele, chiede della madre forse per interrompere un attimo questa sua agonia, si fida di un uomo di cui non vede il volto e che capisce non essere in grado di fare concessione perché ultima pedina di un gioco in cui lui è un obbediente esecutore. Il testo è tratto dalla trascrizione degli ultimi scambi del terrorista Mohamed Merah (che aveva ucciso sette persone, tra cui tre bambini ebrei 2012 assieme al loro padre a Tolosa) con la polizia Raid (corpo speciale d’oltralpe di teste di cuoio), pubblicata su Liberation. Bravissima è stata Barbara Alesse - che ha curato traduzione, adattamento e regia del testo - nel riuscire a creare una giusta tensione senza mai volere calcare troppo sul tema principale (le uccisioni di innocenti) preferendo creare empatia coi personaggi pur rimanendo supra partes. Ottima l’idea di creare l’ambientazione utilizzando plastica trasparente (è un cubo alto come il palcoscenico dove è relegato il terrorista) che da ogni angolazione fa vedere i movimenti dei due attori, dei due antagonisti che divengono forse anche un po’ amici. Inizialmente, i due sono esteriormente molto dissimili: uno vestito in camicia bianca e cravatta, l’altro come uomo della periferia povera; poi il primo perde certe connotazioni esterne e diviene ancora più simile al terrorista. L’illuminazione – ed il buio – si alternano e sottolineano i vari momenti drammaturgici. No effetti speciali ma luci – ottimamente create da Aldo Mantovani - che sanno donare tensione. A questi si aggiungono suoni di sirene, boati quando la Polizia fa saltare in alto la Megane del terrorista, rumori vari ottimamente calibrati da Edoardo Ambrosio.