Un traffichino romano si mette d’accordo con un politico per spartirsi i soldi (un milione di euro) concesso dal Ministero della cultura e dalla Comunità Europea per finanziare in film italiano da girarsi in Armenia. L’idea è di arraffare quanti soldi possibili e poi scappare con il malloppo.
Per riuscirci serve una troupe che giustifichi l’inizio della produzione e ottenga i necessari documenti. Ecco allora che uno sceneggiatore, che per vivere fa l’insegnate in una scuola in cui gli alunni si preoccupano solo di passare il tempo facendo la minor fatica possibile, eletto sul campo regista di un suo testo scritto anni pima, una prostituta promossa giovane attrice debuttante, un riparatore elettrico trasformato a tecnico delle luci, un fotografo di matrimoni promosso direttore della fotografia. Su tutti un’organizzatrice di eventi, meglio di piccole truffe, incaricata della conduzione del progetto. Tutto potrebbe anche andare in porto se non ci si mettessero due fattori del tutto imprevisti: la Guardia di Finanza che arresta l’improvvisato produttore e lo scoppio della guerra fra Armenia e Azerbaigian per il controllo del Nagorno-Karabakh. Questi due fatti costringono la troupe raffazzonata a restare rinchiusa nel grande albergo, Hotel Gagarin, che l’organizzatrice era riuscita a far riaprire per loro. Dopo pochi giorni, i cineasti italiani debbono subire un secondo assedio: quello degli abitanti del villaggio vicino che chiedono siano realizzati i loro sogni. Usando le strutture del teatrino inserito nell’edificio, gli improvvisati cineasti iniziano a prendere sul serio il loro lavoro, tanto che quando, due mesi dopo, arriva l’annuncio che un aereo del Ministero degli Esteri è pronto per riportarli a Roma, solo alcuni decidono di ritornare, mentre gli altri o restano nell’albergo o prendono altre strade. Quello di Simone Spada è, soprattutto, un film sul cinema e suo potere di scatenare la fantasia, sui sogni di cui si alimenta l’esistenza. In questo ha un ruolo fondamentale la figura dell’intellettuale misterioso – interpretato da Philippe Leroy – che compare al regista ma non agli altri. Un film pulito, lineare, un tantino prevedibile, ma del tutto avulso da quel pecoreccio che affligge molto del nostro cinema romanocentrico.