Marco Risi ha sempre avuto una predilezione per il cinema poliziesco classico americano, quel filone, fiorito in modo particolare negli anni quaranta, che è stato capace di coniugare storie popolari con osservazioni acute sulla società del suo tempo. Cha Cha Cha si muove su questo stesso binario, mescolando notazioni feroci e pessimistiche sull’Italia a una storia di delitti immersa in un’atmosfera e in un finale che non potrebbero essere più neri e pessimisti.
Tutto inizia con l’omicidio di un ragazzino, figlio di un’attrice un tempo famosa, ora compagna di un potentissimo affarista e intrallazzatore politico. La madre dolente chiede a un investigatore privato, ex poliziotto e con cui un tempo ha avuto una storia sentimentale, di indagare sulla tragedia. Il ficcanaso scopre con una certa facilità e al prezzo di un bel po’ di legante (un topos tipico del genere) che dietro l’apparente, assurdo delitto c’è del marcio in cui il ragazzo si era imbattuto quasi casualmente e che aveva tentato di sfruttare per dividere la madre dal nuovo compagno. Finale abbastanza scontato con i poteri occulti dello Stato che riescono a chiudere la storia suicidando il fastidioso (a quel punto) maneggione. Il film ha una bella consistenza e un’invidiabile solidità narrativa, doti rare in un cinema, che ha aumentato nell’ultimo anno i titoli prodotti, ma continua ad annegarli in un mare di porcheriole che non valgono il prezzo del biglietto. In altre parole un film vecchia maniera, ma solido e piacevole.