04 Dicembre 2014
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36° Festival Internacional del Nuevo Cine Latinoamericano 2014 |
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Quando un bravissimo regista ed attore interpreta un personaggio per un suo collega e se si tratta di uno dei più grandi artisti di Cuba, come in questo caso, il risultato non può essere che di eccellenza. Jorge Perugorría è considerato uno degli uomini di cultura e di espressività visiva più completi ed interessanti di tutto il panorama del Latino America e con (Il muro delle parole, 2014) dimostra di essere un incredibile interprete che da il massimo nei personaggi impossibili. Di lui durante il Festival abbiamo già visto l’intenso Fátima o el Parque de la Fraternidad (Fatima o il parco della fraternità, 2014) di cui ha firmato la regia, attualmente l’opera più gradita da parte del pubblico locale. A livello internazionale molti lo ricordano come il protagonista del film Fresa y chocolate (Fragola e cioccolato, 1993) di Tomás Gutiérrez Alea e Juan Carlos Tabío: era Diego, il gay. Come pittore, ha avuto personali anche in Europa: un personaggio che, spesso, raggiunge l’eccellenza. Il regista di questa pellicola è attualmente considerato il migliore cubano per i suoi film intensi, impegnati socialmente, capaci come pochi di raccontare sia la realtà del paese che drammi personali. Fernando Perez Valdes, vincitore del Gran Coral del Festival de L’Avana sia come opera prima che con un lungometraggio nel 2010 è un autore che prima di affrontare un particolare tema lo studia ogni cosa e cerca la perfezione in ciò che realizza; ha iniziato come aiuto regista a diciotto anni ed è divenuto dapprima interessante documentarista e, in seguito, autore molto quotato di lungometraggi. In questo caso l’eccessiva attenzione per ogni particolare lo priva della possibilità di essere considerato realmente interessante. Il tema è difficile e ha valenze universali, ma l’attenzione maniacale per ogni particolare non gli permette di donare una coesione narrativa maggiormente efficace. Fino da bambino, Luis soffre di distonia e non in grado di comunicare attraverso il linguaggio del corpo o le parole. Tra l'istituzione medica e familiare, la sua vita interiore è un muro invalicabile. Ha un fratello minore che gli vuole bene e lo aiuta in ogni cosa ma che lo vede come ostacolo per la propria felicità: un rapporto di amore ed odio che rischia spesso divenire frattura non sanabile. Da sempre Luis vive in una struttura psichiatrica, c’è una donna mongoloide che si è innamorata di lui e che lo tratta come il suo uomo, ha compagni di sventura che lo aiutano come possono. La madre dell’uomo vive solo per lui, è iperprotettiva, lo porta spesso durante i week end a casa, lo accudisce come un enorme bebè creando gelosie nell’altro figlio: colpevolizza se stessa per questa diversità e, per certi versi, odia la normalità del altro figlio. Più che un film sulla disabilità, il film riflette il difficile compito della comunicazione umana, il dolore e i limiti accettabili del sacrificio di chi vive in un mondo imperfetto proprio per essere vicino a chi vive il dramma della diversità. Isabel Santos è l’intensa madre che annulla se stessa e qualsiasi cosa non riguardi Luis, Carlos Enrique Almirante il fratello in crisi con se stesso ma anche con tutto il mondo che lo circonda e che abbandona la fidanzata perché non riesce a capire questo suo intenso sacrificio. Film sicuramente di grande interesse ma che difficilmente riesce a raggiungere momenti di autentica emozione.
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