04 Dicembre 2014
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36° Festival Internacional del Nuevo Cine Latinoamericano 2014 |
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Sito del festival:http://www.habanafilmfestival.com/
36mo Festival Internacional del Nuevo Cine Latinoamericano.
Dal 4 al 14 dicembre, per undici intensissimi giorni, L’Avana si trasforma nella capitale del cinema latino americano con la 36° edizione del Festival del Nuevo Cine Latinoamericano. La manifestazione quest’anno è dedicata ufficialmente a Gabriel García Márquez, il grande scrittore, giornalista e saggista colombiano, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1982 e presidente dei giurati nella prima edizione del festival iniziata il 3 dicembre 1979.
La partecipazione di massa dei cubani alle proiezioni è possibile grazie anche a un pass che lo scorso anno per 15 film costava 20 pesos nacionales, circa un euro.
La corposa sezione ufficiale prevede vari premi assegnati da giurie in cui sono presenti, oltreché specialisti del cinema, intellettuali di buon nome. Normalmente i titoli in competizione sono 21.
Lungometraggi ci sono anche 3 film fuori concorso
Cortometraggi tutti i titoli che sono presentati in competizione
Opera prima propone opere soprattutto provenienti da Argentina, Brasile e Messico non dimenticando Cile, Colombia, Perù, Venezuela ed il meno noto Ecuador
Documentari una delle sezioni più seguite ed amate, che permette di leggere i cambiamenti nel latino america. 30 titoli in concorso, uno presentato fuori dal agone.
Animazione 23 proposte con diverse durate delle opere, dai 2 ai 79 minuti.
Sceneggiatura inedita Argentina, con ben sette sceneggiature inedite, Cile, Colombia, Cuba, México, Perú, Puerto Rico, Repubblica Dominicana e Uruguay sono candidati a ricevere questo premio che consiste anche in un importo assegnato al vincitore.
Manifesti di cinema 12 manifesti presentati da Cuba (ben sette proposte), Argentina e Brasile
Ma, come capita in molti Festival, spesso si trova il meglio in tutte quelle sezioni senza competizione dove sono inseriti sia i titoli troppo noti per partecipare che altri realizzati da indipendenti e che non hanno la forza di imporsi nella scelta della rosa di quelli giudicati per ricevere il Gran Coral, il premio che simboleggia il corallo delle grandi barriere particolarmente diffuse ed in buone condizioni di conservazione nel Mar dei Caraibi.
Oltre a queste proposte, vi sono gli omaggi ad autori e varie mostre.
Otras Latitudes è uno delle più ricche e racchiude svariate sottosezioni, quasi tutte che presentano 7 titoli:
• Animazione giapponese
proposte di vari maestri animatori nipponici.
• Cine Indipendente Afronordamericano
titoli che partono dal muto per arrivare alle soglie della seconda guerra mondiale.
• Cortometraggi selezionati al Premio BAFTA 2013
Corti scelti dalla BAFTA British Academy of Film and Television.
• Da altri Festival: Gramado
E’ forse il più importante Festival Brasiliano specializzato in cinema Latino.
• Da altri Festival: Trinidad y Tobago
Presentati titoli della produzione caraibica in lingua inglese.
• Da altri Festival: Vancouver
Presentati due documentari coprodotti uno dall’Argentina e l’altro dalla Bolivia visti nell’ultima edizione del Festival.
• Documentari Nordamericani oggi
Quattro lungometraggi molto attesi.
• Due cineasti indipendenti: Jim Jarmusch e Sara Driver
Quattro titoli che daranno vita ad una tavola rotonda.
• Rassegna del cinema tedesco
6 titoli d’essay prodotti tra il 2013 ed il 2014.
• Rassegna del cinema canadese
Selezionati 4 titoli
• Rassegna del cinema spagnolo
A parte Todos estan muertos (Tutti sono morti) gli altri 8 titoli non sono coproduzioni.
• Rassegna del documentari
11 titoli che coprono aree geografiche non presenti nelle altre sezioni o sottosezioni.
• Rassegna del cinema sperimentale nordamericano
22 titoli di lungometraggi che coprono aree geografiche non presenti nelle altre sezioni o sottosezioni. C’è anche Pasolini di Abel Ferrara
• Settore Industria
Film del Latino America presentati in prima mondiale per gli operatori del settore
• Spazi
Retrospettive ed omaggi a Gabriel Garcia Márquez, Mario Handler, Ulrich Seidl, Jorge Cedrón, Eugene Jarecki e Raoul Peck
• Esposizioni
Come sempre molto curate, saranno sviluppate su vari temi:
- La trasformazione del Cinema in 35 manifesti. Retrospettiva di manifesti di cinema realizzati da Rafael Morante
- Harakiri che permette di ammirare l’evoluzione attraverso il manifesto ed in mezzo secolo del personaggio creato dal disegnatore cubano Antonio Fernández Reboiro per il regista giapponese Masaki Kobayashi.
- Assenza e presenza, esposizione personale di Marta María Pérez, artista cubana che si è espressa prima con la fotografia ed ora coi video.
- Trenta manifesti del Cinema Ceco
Ultima sezione di cui parliamo - ma, probabilmente, la più interessante di tutte, è Latino America in prospettiva, che racchiude ben 18 sottosezioni.
Latinoamérica en perspectiva, questo il nome in originale di questo enorme contenitore, mira a fornire una panoramica della produzione cinematografica contemporanea di quest'area geografica del mondo. Racchiude tutte quelle opere che non sono in competizione per i premi che vengono assegnati al Festival: tutti i titoli hanno caratteristiche di qualità sufficiente per essere apprezzato anche dal pubblico più esigente. Negli anni passati erano raggruppati nelle categorie di fiction o documentario straniero, ma sentito attraverso vari formulari l’umore del pubblico quale struttura avrebbero voluto che il Festival avesse al di fuori delle sezioni ufficiali è stato deciso di fornire grande importanza a questa serie di film al fine di guidare i vari segmenti di spettatori secondo i propri gusti e preferenze verso un percorso culturale anche divertente.
In questa 36 °. edizione si pensa sarà la più seguita, tanto che, dopo le prime giornate di prenotazioni, è stato deciso di spostare alcune proiezioni in cinema di maggiori dimensioni.
• A sala piena
I film preferiti del pubblico di Cuba tra quelli presentati nell’isola durante l’ultima stagione, con titoli provenienti unicamente dal Latino America, quasi tutti mai presentati in Italia. Le nazioni rappresentate sono Argentina, Brasile, Messico, Cile, Colombia, Perù, Venezuela e Repubblica Domenicana. Sono previste un paio di tavole rotonde.
• L’ora del cortometraggio
12 titoli tra i 3 ed i 14 minuti che, oltre agli usuali paesi di lingua spagnola, proporranno corti di Puerto Rico ma anche di Trinidad e Tobago.
• Città e altri paesaggi
Storie ambientate in spazi che diventano protagonisti della vicenda con uomini e natura che riacquistano la loro importanza di protagonisti. Sono 8 documentari di varia lunghezza, presentati anche in alcuni Festival, che vedono la presenza anche di El Salvador.
• Colori della diversità
La differenza nei suoi molteplici significati, come oggetto di dibattito e di rivendicazione. Sono tredici titoli suddivisi tra fiction, documentario e animazione, contenenti corti, medio e lungometraggi di varie nazioni di lingua spagnola. Sarà fonte di vari dibattiti.
• Questione di fede
Opere che ruotano attorno al sacro con gli echi nel privato e nel pubblico. Tra le fiction e i documentari presenti spicca Francesco di Buenos Aires, coproduzione italo argentina sulla vita di Papa Francesco, firmata da Miguel Rodríguez Arias; racconta la vita di Jorge Bergoglio e cerca di riflettere sulla rivoluzione che il primo sudamericano Papa ha imposto all’interno della Chiesa.
• Memoria
La storia come vera possibilità di salvezza e la riflessione critica che ne deve derivare, vista anche attraverso un approccio generazionale. 13 documentari che serviranno anche a creare un paio di dibattiti.
• Storie di violenza
Marginalità, frattura familiare e intolleranza: scenari di aggressione e di denuncia con soli 5 titoli tra cui il più atteso è il messicano Potosi che racconta di paese di campagna in cui, per un incidente, nascono e si sviluppano tre storie di grande violenza.
• Esodi
Migrazione e trasferimenti nel contesto latinoamericano di una persona, una famiglia, intere realtà sociali. Sono cinque titoli tra cui c’è interesse soprattutto per il documentario messicano Riforma della immigrazione: la libertà non ha prezzo.
• Nella Società
Comunità umane ad un incrocio tra privato e pubblico. 21 titoli tra fiction e documentari che trattano temi comuni a tutte le genti, latinoamericane o no.
• SOS ambiente
degrado dell'ambiente, l'ordine pubblico e l'attivismo ambientale nella regione caraibica attraverso l’attento studio fatto da cineasti della regione. Tra fiction e documentari, la denuncia sembra mettere d’accordo tutti i paesi, dai più ricchi ai più poveri.
• Sportivamente
Dalla scena sportiva, le sue gioie e le ombre, utilizzando eroi veri o di fantasia raccontati attraverso film di fiction o documentari. Tra le proposte di cui si dice bene vi è Alberto Spencer, ecuadoriano di Peñarol, coproduzione tra Ecuador ed Uruguay.
• Arte e tradizione
La ricchezza dell’arte latino-americana nelle sue espressioni più genuine: 13 film che parlano di circo, di musica, di pittura, d’arte.
• Musica, camera, azione
Il suono di un continente attraverso le varie forme di espressione che racchiudono anche jazz, musica cubana, percussioni, musica da ballo e in particolare samba: un piacevole bagno nella musica non necessariamente da turisti che parla al cuore ed ai sensi.
• Cineteca latino americana
Documenti della storia del cinema di questo micro continente con opere che vanno dal 1927 ad oggi attraverso 8 appuntamenti di buon livello.
• Per tutte le età
Si occupa dell'universo dei bambini e degli adolescenti, del loro mondo fatto soprattutto di fantasia e speranza, attraverso film d’animazione, d’avventura, a sfondo sociale. 13 titoli che coinvolgeranno le scuole de L’Avana in proiezioni a loro riservate in un cinema studiato ed ideato per il pubblico più giovane
• Avanguardia
21 opere visionarie che esplorano nuovi soggetti e linguaggi attraverso il linguaggio della fiction e del documentario. Alcuni titoli proposti sono opere prime.
• A mezzanotte
Raid nel campo della fantasia e del terrificante attraverso suspense, thriller, horror. 10 titoli per provare paura senza offendere l’intelligenza.
• Da altri Festival
Con la collaborazione dei direttori artistici dei Festival di Gramado, Trinidad e Tobago, Vancouver ed il Puerto Documentary Film, il meglio che è stato proposto nella loro ultima edizione.
Come sempre, davanti a tanta abbondanza di proposte interessanti, il difficile non è scegliere cosa vedere ma a cosa rinunciare. Oltretutto, gli orari spesso costringono lo spettatore a scegliere un momento filmico piuttosto che un altro. Data la quantità di titoli può capitare che alcuni siano proosti solo in uno spettacolo.
Il Festival si pone come obiettivo principale la diffusione e la premiazione di quelle opere che, per il loro significato e valore artistico, possono contribuire ad arricchire e ad affermare l'identità culturale latinoamericana e caraibica.
Il suo fondatore e presidente è stato Alfredo Guevara, mancato nel 2012 e sostituito degnamente da un nome noto nel mondo del cinema cubano nonché collaboratore di Guevara, Iván Giroud.
Si è inaugurata ieri sera al Teatro Karl Marx de L’Avana la trentaseiesima edizione della rassegna del nuovo cinema Latino Americano. La manifestazione è dedicata all’inarrivabile intellettuale colombiano Gabriel Garcia Marquez, grande amico di Cuba e presidente di giuria nella prima edizione della rassegna nel 1979. Il festival è iniziato con un bellissimo video in cui sono stati utilizzate molte immagini e un sonoro molto interessante dedicati a questo grande scrittore. Per meglio sottolineare questo legame che lo univa all’isola, c’è stato anche un recital dal vivo del suo grande amico Pablo Milanes, una voce splendida per canzoni piene di intense vibrazioni. Con una scelta più commerciale che culturale, il film dell’inaugurazione è stato Relatos salvajes (Storie pazzesche, 2014), che abbiamo già recensito all’uscita sugli schermi italiani. Un testo bello e divertente ma stridente con la scelta fatta dai selezionatori per gli altri film in competizione. Realtà alterata vulnerabile e imprevedibile in cui i personaggi attraversano la frontiera che divide la civiltà dalla barbarie. La storia di un cuore spezzato, un ritorno, un aereo in cui tutti conoscono la persona che li porterà alla morte, una tragedia in cui anche la violenza di tutti i giorni è il meccanismo che può portare nell'abisso, al piacere innegabile di essere fuori controllo.
Los Ausentes (Gli assenti, 2014) del trentaduenne messicano Nicolas Pereda, conferma lo stile minimalista del regista che già si era espresso con completezza in Verano de Goliat (Estate di Goliat, 2012), vincitore della sezione di Orizzonti della Mostra di Venezia. Un uomo sui settanta vive da solo sulla costa messicana del sud. La sua casa è reclamata da uno straniero e, non avendo documenti che comprovino i suoi diritti, rischia di perderla. Assiste alla seduta del consiglio che deve dirimere il caso ma, alla fine, non viene presa una vera e propria decisione. A causa di questo ulteriore stress la mente del uomo inizia a vacillare. Ricordi del passato lo tormentano durante il giorno, oggetti smarriti che diventano presenze oniriche e la casa che è demolita. Fa un giro in montagna per incontrare persone che conosceva in passato ma il ricordo di se stesso da giovane lo tormenta durante il viaggio. Ritrova le persone che gli erano care, ma nessuno lo ferma o lo ospita. Continua a vagare attraverso la foresta e le memorie. Si ritrova giovane, ma non riconosce se stesso tanto da chiedere ad un estraneo quale sia il suo nome. Insieme si ubriacano e cantano quasi sino a perdere i sensi. Il film è difficile e anche in una rassegna culturalmente impegnata come questa ha difficoltà a trovare estimatori. Pochissimi dialoghi, azione ridotta ai minimi termini, interminabili inquadrature del nulla, anche se, alla fine, questo modo di raccontare genera panico non disgiunto da interesse.
La Sezione Ufficiale del festival ha proseguito oggi con la presentazione di un paio di titoli interessanti ma non completamente risolti. Trago comigo (Stiamo assieme, 2014) è un film brasiliano di grande interesse, soprattutto nella bellissima messa in scena scritta da noto commediografo il quale, con questo lavoro, tenta di ricordare un passato che aveva cercato di rimuovere. La cinquantenne regista brasiliana Tata Amaral costruisce un viaggio all’interno del cervello, dei sentimenti, delle inquietudini, delle paure di un uomo ormai sulla sessantina che ha vissuto gli anni di piombo nel suo paese, partecipando anche a bande armate. Inizia per caso, come molte cose importanti. Un uomo da anni non scrive più e accetta di riprendere la penna in mano quando un sua amico impresario gli dice che, con il suo aiuto, potrebbe far riaprire il teatro in cui lui ha presentato tutti i suoi massimi successi. La sua attuale compagna è gelosa di una donna di nome Lia che per il drammaturgo doveva essere importante. Pian piano lo scrittore ricorda, grazie ad una specie di terapia di gruppo vissuta con la sua compagnia. Aggiunge tasselli ad un intricato puzzle in cui, nel presente, non sono stati ancora posti correttamente i vari elementi. La commedia che cresce sotto gli occhi degli spettatori è ben costruita ed assolutamente interessante, meno il film che deve sopportare momenti di stanca della sceneggiatura. Il noto attore teatrale di origini italiane Carlos Alberto Riccelli non riesce sempre ad essere credibile e dare verità al suo personaggio, gli altri invece sono quasi perfetti.
Dólares de arena (Dollari da spiaggia, 2014) segna un’ulteriore buona prova da parte dei trentaquatrenni Laura Amelia Guzman e Israel Cardenas. Sono moglie e marito dominicani e nel 2007 hanno unito le loro potenzialità per realizzare titoli premiati anche ai festival di Toronto e Venezia. La forza del film, peraltro semplice come struttura narrativa e con una storia non originalissima, sta nell’utilizzo di due attrici, la sempre professionale Geraldine Chaplin e la naif Yanet Mojica, nei ruoli delle protagoniste, legate anche da un filo lesbico vissuto in maniera mercenaria da parte della più giovane. Noeli, ragazza domenicana di diciotto anni, ha una relazione con Anne, donna straniera molto più vecchia di lei e anche se nessuno considera questo rapporto come un atto di prostituzione, in realtà rappresenta per lei una delle poche opportunità di lavoro in un’economia che opprime i giovani con molte forme di sfruttamento. La ragazza è innamorata di un coetaneo che la sfrutta ma le dà anche amore, ha alle spalle un aborto, deruba i turisti che inseguono occasioni sessuali e trova nella matura francese una che la tratta umanamente e le fornisce l’immagine tranquillizzante di una madre un po’ particolare. Interessante ma non perfetto, il film si lascia vedere senza troppe recriminazioni.
Nella terza giornata di Festival, si inizia ad intravvedere un filo logico nella scelta dei titoli in competizione, solitamente di autori con varie opere già realizzate e con temi direttamente o indirettamente sociologici. Tierra en la lengua (Terra sulla lingua, 2013) è diretto dal colombiano trentaquatrenne Ruben Mendoza con una attività nel cinema di oltre dieci anni e mezza dozzina di titoli tutti presentati con buon riscontro in vari Festival. Subito dopo questo film ha realizzato Memorias del Calavero (Memorie di Calavero, 2014) che attende ancora una circuitazione internazionale. In parte autobiografico quantomeno per ispirazione, il film ha molte scene di violenza anche su animali, creando tensione emotiva nello spettatore e forte disagio. Un uomo anziano e malato, che per tutta la vita ha avuto come unica religione la perfidia e l’amoralità, chiede di morire per mano di due nipoti che accettano, forse allettati dalla ricca eredità. Sequestrato tre volte da persone che lo odiavano, non ha mai cambiato il suo modo di comportarsi. I ragazzi condividono con lui un giro per le tenute di sua proprietà e cambiano idea sul nonno: prima pietosamente lo avrebbero eliminato in maniera indolore, ora decidono di fargli vivere un lungo travaglio, l’agonia tra vita e morte. Violenza visiva, violenza fisica, violenza mentale in una vicenda dove nulla viene risparmiato allo spettatore. Sicuramente non lascia indifferenti.
A estrada 47 (Strada 47, 2013), diretto dal quarantanovenne brasiliano Vicente Ferraz, è una strana coproduzione che coinvolge anche Portogallo ed Italia. Si parla degli ultimi giorni della seconda guerra mondiale, di una squadra di ingegneri brasiliani specializzati nel disinnesco di mine che sono mandati in Italia dagli alleati. Siamo in Friuli Venezia Giulia e questi militari d’oltreoceano, molti di loro volontari, si trovano in un conflitto che non sentono, vivendo in condizioni atmosferiche che li distruggono fisicamente e psicologicamente. Una squadra di artificieri della Forza di Spedizione Brasiliana soffre di un attacco di panico collettivo. La disperazione, la fame e il freddo, mette in crisi i giovani soldati che devono scegliere tra la corte marziale o affrontare di nuovo il nemico senza capire né ragione e logica di questa decisione. Incontrano un disertore italiano che conquista la loro fiducia e indica loro dov’è la Strada 47 resa impraticabile dalle mine anticarro poste dai tedeschi. Decidono di bonificarla, nonostante che alcuni di loro siano morti, per dimostrare a se stessi ed agli alleati di avere fatto qualcosa di importante. In uno scontro coi tedeschi ne uccidono parecchi ma decidono di prendere prigioniero un capitano ferito e di curarlo. L’ufficiale, che voleva disertare, ha la mappa di dove sono posti i quindici ordigni e, in questa maniera, i brasiliani riescono nella loro impresa permettendo agli americani di giungere a San Giusto. Film demagogico, girato senza mai cercar di dare drammaticità alle immagini, ha Sergio Rubini, del tutto fuori personaggio, nel ruolo del disertore. E’ un film che non dà nuovo lustro anche e soprattutto ai partigiani raccontati come figure schematiche viste in maniera semplicistica.
Presentato in prima mondiale al Sundance Film Festival, El cerrajero (Il fabbro, 2013) è un piccolo film diretto con discreta attitudine dall’argentina Natalia Smirnoff. Si tratta di una commedia con precise connotazioni sentimentali ma senza inutili sdolcinatezze. Piace la semplicità narrativa, stanca la mancanza di vere idee. Sebastian è un fabbro trentatreenne che non ha mai voluto impegnarsi a lungo con una donna. Con Monica sta ormai da cinque mesi, quando gli confessa di essere incinta il mondo dell’artigiano prende una piega inaspettata: inizia ad avere strane visioni mentre lavora alle porte che i clienti gli hanno commissionato. Qualcuno potrebbe chiamare questo un dono, ma Sebastian lo sente più come una maledizione. L’uomo gestisce a malincuore il suo talento insieme con un’aiutante captatagli casualmente in negozio e che crede molto in lui. Il centro del discorso è nel rapporto fra il fabbro, uomo privo di sensibilità ma che procura alla ragazza un medico per abortire, e la giovane che, alla fine, gli farà cambiare idea sul rapporto a due. Pur non avendo momenti di stanca, il film non riesce ad emozionare, né, tantomeno, ad interessare.
Il secondo film proposto è stato un’altra produzione argentina, questa volta diretta da una donna. Aire libre (Aria Libera, 2014) è una commedia che parla dell’amore, della sua conclusione, dell’inadeguatezza di tante coppie che si sposano più per passione che per amore. La trentanovenne Anahi Berneri, qui al quarto titolo, è nota per avere partecipato a festival di prestigio, quali San Sebastian, Berlino, Lima e Torino vincendo anche un premio FIPRESCI. Percorso interessante con temi più profondi di quelli che possano apparire, la regista introducendo il film ha sottolineato la tristezza e la drammaticità della storia. Vista la pellicola, si può concordare con questo giudizio ma occorre aggiungere che siamo di fronte ad una commedia dai toni adolescenziali nonostante i protagonisti siano vicini alla quarantina. Lucía e Manuel sembrano avere dimenticato i loro desideri e i progetti che li legavano. L'idea di costruire una nuova casa emerge come un piano che sembra poter offrire un momento perfetto per ricostruire il loro rapporto. Immaginano e disegnano una villetta fuori città, nel verde: un luogo per evitare il soffocamento e dare spazio al figlioletto di sette anni. La routine del vivere insieme è interrotta fino a quando il lavoro sarà finito. Si trasferiscono nelle case dei rispettivi genitori e per loro inizia una nuova vita. Riscoprono i propri desideri, si sentono adolescenti a cui tutto è permesso, riallacciano rapporti con ex amori, non si ricordano più della loro vita reale. Hanno la tragica sensazione che, terminati i lavori, dovranno tornare a vivere assieme ma, nello stesso tempo, non trovano ragioni per farlo. Forse l’amore riuscirà nuovamente ad unirli. Leonardo Sbaraglia, nome di punta del cinema argentino, racconta e vive il suo personaggio con grande bravura, Celeste Cid è più brava nella trasgressione che non nel farsi credere madre attenta e moglie premurosa. Il film, in ogni caso, tratta temi di attualità con una certa bravura.
Non sappiamo se per scelte da parte dei programmatori del Festival o per semplice casualità, ma dopo alcuni giorni non sempre entusiasmanti iniziano ad apparire titoli quantomeno interessanti. E’ il caso del film argentino La tercera orilla (La terza riva, 2014) della quarantenne Celina Murga che narra di una vicenda dalle connotazioni universali che colpisce più di una famiglia in giro per il mondo. Si tratta di tradimento ma non soltanto all’interno della coppia ma nei confronti dei figli considerati apparentemente in maniera umana dal fedifrago ma, in realtà, esautorati dall’amore e anche da una certa serenità economica. Nicholas vive in un piccolo villaggio di Entre Rios assieme ai fratelli e alla madre, con un padre molto assente. E’ il figlio maggiore di un medico che conduce una doppia vita. Non cessa di essere chiamato papà, ma dopo una giornata trascorsa insieme, torna alla sua altra famiglia, che ha favorito anche con un maggiore sostegno finanziario. Il ragazzo, quasi senza accorgersene, mette sulle sue spalle il ruolo di padre. Educa e consola i fratelli, diventa confidente ed amico della madre, si occupa anche finanziariamente dei problemi della famiglia. La vacuità di questi mondi paralleli diventa ancora più evidente quando il medico chiede al figlio di seguire le sue orme. Il ragazzo si ribella contro il sessismo e il pesante senso di autoritarismo del padre, ma anche contro un segreto che tutti conoscono e che fingono di ignorare. Bravi tutti in una scelta di cast molto curata che sottolinea la validità di una buona sceneggiatura.
(Fatima o il Parco della Fraternità, 2014) era un film cubano molto atteso tanto da richiedere l’intervento della Polizia all’ingresso per evitare che persone senza biglietto (c’era il tutto esaurito per tutte le proiezioni da almeno una settimana) travolgessero gli altri spettatori. L’autore del film è il quarantanovenne Jorge Peugorrìa, attore, pittore, sceneggiatore e regista particolarmente amato sull’Isola. Considerato il più noto attore cubano a livello internazionale, lavora per teatro, televisione e cinema dove fino ad ora ha recitato in oltre 50 film e ne ha diretti otto. In questa occasione si è cimentato in una storia che solo epidermicamente può sembrare commedia ricca di connotazioni drammatiche e farsesche. In realtà ha firmato un’opera di denuncia sulla diversità, sull’impossibilità per i giovani di avere una vita soddisfacente, sul fenomeno, ancora attuale, dei clandestini che cercano di raggiungere via mare gli Stati Uniti. La storia principale, quella che appare come vicenda su cui si sviluppa tutta il film, racconta di ragazzino che si sente diverso, è rifiutato dal padre energumeno e amato dalla madre. Studia, si diploma non senza avere subito mille umiliazioni. Abbandona la provincia per raggiungere L’Avana dove inizia a lavorare come programmatore. L’incontro fortuito con uomo esteriormente virile gli cambia l’esistenza: si innamorano, lui l’aiuta a divenire una Dark Lady ma, nello stesso tempo, gli propone incontri occasionali con altri uomini. E’ farfallone mentre lei gli è fedele ed innamorata anche quando il suo uomo parte per gli Stati Uniti su di un barcone. Fatima è il nome d’arte del giovane Manolo perché da bimbo gli era apparsa la Madonna di Fatima e questo lo aveva segnato tutta la vita, con un’ironia che si aggiungeva alle sue tendenze sessuali. Film equilibrato, mai macchiettistico, dimostra come certe tematiche il cinema cubano le sappia trattare forse meglio di tanti prodotti europei.
Quando un bravissimo regista ed attore interpreta un personaggio per un suo collega e se si tratta di uno dei più grandi artisti di Cuba, come in questo caso, il risultato non può essere che di eccellenza. Jorge Perugorría è considerato uno degli uomini di cultura e di espressività visiva più completi ed interessanti di tutto il panorama del Latino America e con (Il muro delle parole, 2014) dimostra di essere un incredibile interprete che da il massimo nei personaggi impossibili. Di lui durante il Festival abbiamo già visto l’intenso Fátima o el Parque de la Fraternidad (Fatima o il parco della fraternità, 2014) di cui ha firmato la regia, attualmente l’opera più gradita da parte del pubblico locale. A livello internazionale molti lo ricordano come il protagonista del film Fresa y chocolate (Fragola e cioccolato, 1993) di Tomás Gutiérrez Alea e Juan Carlos Tabío: era Diego, il gay. Come pittore, ha avuto personali anche in Europa: un personaggio che, spesso, raggiunge l’eccellenza. Il regista di questa pellicola è attualmente considerato il migliore cubano per i suoi film intensi, impegnati socialmente, capaci come pochi di raccontare sia la realtà del paese che drammi personali. Fernando Perez Valdes, vincitore del Gran Coral del Festival de L’Avana sia come opera prima che con un lungometraggio nel 2010 è un autore che prima di affrontare un particolare tema lo studia ogni cosa e cerca la perfezione in ciò che realizza; ha iniziato come aiuto regista a diciotto anni ed è divenuto dapprima interessante documentarista e, in seguito, autore molto quotato di lungometraggi. In questo caso l’eccessiva attenzione per ogni particolare lo priva della possibilità di essere considerato realmente interessante. Il tema è difficile e ha valenze universali, ma l’attenzione maniacale per ogni particolare non gli permette di donare una coesione narrativa maggiormente efficace. Fino da bambino, Luis soffre di distonia e non in grado di comunicare attraverso il linguaggio del corpo o le parole. Tra l'istituzione medica e familiare, la sua vita interiore è un muro invalicabile. Ha un fratello minore che gli vuole bene e lo aiuta in ogni cosa ma che lo vede come ostacolo per la propria felicità: un rapporto di amore ed odio che rischia spesso divenire frattura non sanabile. Da sempre Luis vive in una struttura psichiatrica, c’è una donna mongoloide che si è innamorata di lui e che lo tratta come il suo uomo, ha compagni di sventura che lo aiutano come possono. La madre dell’uomo vive solo per lui, è iperprotettiva, lo porta spesso durante i week end a casa, lo accudisce come un enorme bebè creando gelosie nell’altro figlio: colpevolizza se stessa per questa diversità e, per certi versi, odia la normalità del altro figlio. Più che un film sulla disabilità, il film riflette il difficile compito della comunicazione umana, il dolore e i limiti accettabili del sacrificio di chi vive in un mondo imperfetto proprio per essere vicino a chi vive il dramma della diversità. Isabel Santos è l’intensa madre che annulla se stessa e qualsiasi cosa non riguardi Luis, Carlos Enrique Almirante il fratello in crisi con se stesso ma anche con tutto il mondo che lo circonda e che abbandona la fidanzata perché non riesce a capire questo suo intenso sacrificio. Film sicuramente di grande interesse ma che difficilmente riesce a raggiungere momenti di autentica emozione.
Venecia (Venezia, 2014), diretto dal cinquantatreenne Enrique Alvarez Martinez che è anche docente di cinema e responsabile di regia del EICTV forse la più importante tra le scuole de L’Avana, è uno dei film più interessanti e che potrebbe tranquillamente fatto circolare a livello internazionale. E’ un film di amicizia, di speranza, di sogni con tre ragazze normali che si trovano a condividere lavoro e speranze. Havana, estate 2012. Mayelin, Monica e Violeta lavorano da un parrucchiere che permette loro di sopravvivere ma non certo di essere ricche. I soldi mancano sempre ma non per questo la loro voglia di vivere si spegne. Il giorno di paga si sentono finalmente felici e decidono di trascorrere una notte allegramente folle tutte insieme. All'alba hanno un sogno comune: Venezia che per loro rappresenta il mondo perfetto, dove sogno e realtà potrebbero finalmente unirsi. Il loro mondo si limita ad essere possibile, sperano di potere comperare un negozio dove lavorare finalmente assieme, felici di non avere un padrone. C’è la ragazza che desidera godere della vita e che non disdegna di accompagnarsi occasionalmente a uomini, l’altra che è sovrappeso e cerca disperatamente di essere attraente. L’unica sposata ed in attesa di un figlio è presa in giro perché ha poco seno e tutte le dicono che, finalmente, tra pochi mesi potrà avere un’attrattività in più. Claudia Muñiz, Marianela Pupo e Maribel García sono le tre protagoniste, la prima che interpreta il ruolo della ragazza sposata, è moglie nella vita del regista.
Viento aparte (Vento lontano, 2014) ha buon interesse ma può sembrare più convenzionale perché ha caratteristiche da on the road e ha come protagonisti due fratelli adolescenti, quindici e dieci anni, col fratello maggiore che sente la responsabilità di dovere arrivare con la sorella alla casa della nonna attraverso un Messico in cui scioperanti, guerriglieri, delinquenti in tutte le maniere rischiano di interrompere questo viaggio della speranza. A questo si aggiunge un camionista che vorrebbe violentare la bimba ed un uomo apparentemente cattivo che diviene la loro chiave per potere entrare nel mondo della serenità. Il trentasettenne Alejandro Gerber Biceci dirige con bravura, i giovani interpreti sono perfetti. La chimica funziona ma latita originalità e un vero interesse per quello che avviene sullo schermo. Due fratelli adolescenti, Omar e Karina, vengono lasciati a se stessi quando la madre si ammala gravemente nel corso di una vacanza in famiglia in cui il padre, come sempre nella loro vita, è assente. Iniziano un lungo viaggio attraverso il Messico verso la casa della nonna. Tutto rema contro di loro, ed un tranquillo viaggio che inizia sopra un gua gua (autobus) che li dovrebbe portare da Oaxaca a Città del Messico senza problemi, si trasforma in un viaggio pericoloso ma anche di iniziazione dove la bambina capirà i problemi della vita e diventerà consapevole anche dei suoi doveri di giovane donna. Il ragazzo riprende ogni cosa con lo SmartPhone e guarda quanto da lui girato in momenti felici con la madre per trovare il coraggio necessario a proseguire: è una buona idea narrativa che riesce a donare coesione ed interesse a quanto visto.
Conducta (Condotta, 2014) è un film cubano che in patria è molto reputato. Diretto dal cinquantatreenne Ernesto Daranas Serrano con varie esperienze in teatro, radio, televisione e cinema, è un film che ha come caratteristica narrativa il melodramma. Nonostante un cast che comprende attori di rilievo quali Alina Rodríguez, Amaly Junco, Miriel Cejas e Yuliet Cruz con la piacevole sorpresa di Armando Valdés Freire, il film non riesce a trovare i giusti ritmi narrativi rendendo un soggetto più che interessante alla stregua di una telenovela. Ogni situazione viene raccontata con la ricerca della lacrima, tutto deve lasciare scosso emotivamente il pubblico ma, crediamo, quantomeno per la cultura occidentale questo risulterà molto difficile. Non si fa mancare nulla cominciando dal ragazzo senza padre e con madre drogata e disponibile per poi proseguire con combattimenti clandestini e violentissimi di cani, la maestra saggia che ha rinunciato ad andare in pensione per seguire i suoi alunni, la ragazzina che è a L’Avana col padre e senza permesso che dovrà andare via da scuola, insegnanti senza cuore, poliziotti che non son da meno dei docenti. Bene girato, gradevolmente interpretato, diviene prodotto poco interessante per l’ovvietà di quanto accade e per la mancanza di vere emozioni. Chala è un ragazzino di undici anni che frequenta la quarta e che vive con la madre drogata, alcolizzata che si prostituisce: ama i colombi che alleva sul terrazzo della casa ma accudisce anche i cani da combattimento per sopravvivere finanziariamente. Con Carmela, la sua maestra, il ragazzo si sente amato e rispettato, ma quando l’anziana insegnante è colpita da infarto rimanendo a casa tre mesi viene sostituita da una giovane incapace di gestire il carattere di Chala e che non si oppone al suo invio in una scuola di comportamento molto simile ad un riformatorio. Al suo ritorno, l’anziana si oppone a questa misura e ad altre trasformazioni della sua classe tanto da essere messa in pensione. Il rapporto tra la maestra e il bambino diventa sempre più forte, ma questo impegno mette a rischio la permanenza a scuola anche del piccolo.
Altro film non completamente riuscito il brasiliano Praia de Futuro (Spiaggia del futuro, 2013) del trasgressivo sceneggiatore e regista Karim Ainouz. Autore del discusso e premiatissimo Madame Satà (2006) presentato a Cannes ma anche a Toronto e al Sundance dove ha ricevuto vari premi, continua ad occuparsi di omosessualità prediligendo scene molto crude e reiterate di sesso. Due turisti tedeschi sono intrappolati nella corrente pericolosa di Spiaggia del Futuro. Il bagnino Donato ne salva uno, Konrad, ma l'altro viene inghiottito dal mare. Durante la ricerca del cadavere, Konrad ed il suo salvatore sentono un’attrazione fisica che ben presto si trasforma in un legame affettivo profondo. Il bagnino segue l’amico a Berlino dove gli manca il mare ed inizia a lavorare come subacqueo in un acquario. Anni dopo, deve affrontare il suo passato, quando Ayrton, il fratello minore, appare furioso alla sua porta volendo sapere perché se ne era andato via senza dire una parola. Anche Ayrton, similmente a Donato, è trascinato dal turbine di questa città in cui trova più dilemmi irrisolti che non risposte ai suoi quesiti. Noioso, prevedibile vorrebbe essere opera di denuncia ma l’unica cosa sicura è che il regista rivela una stanchezza che rende banale una storia che poteva anche essere interessante.
del trentanovenne regista argentino Lisandro Alonso è opera gradita ai selezionatori di festival di grande risonanza perché rappresenta un momento in cui agli spettatori si richiede assoluta dedizione per intendere cosa si nasconde dietro l’esteriorità di quanto appare sullo schermo. Questo cineasta ha vinto varie volte il premio della critica ma raramente quello assegnato dal pubblico. La ragione è semplice. Il suo è cinema ermetico che richiede dedizione assoluta. Interpretato da Viggo Mortensen nel ruolo di un militare danese nonché padre della ragazza attorno alla quale ruota il film, ha un finale aperto che mette in discussione ogni cosa vista in precedenza. Gli antichi dicevano che la Patagonia era una terra mitologica ricca di abbondanza e di felicità, molte spedizioni hanno cercato lì un luogo magico per avere conferma di questa realtà. Nel corso del tempo, la leggenda era cresciuta a dismisura, ciò che è certo è che tutti coloro che hanno ricercato questo paradiso terrestre non sono mai tornati. Nel 1882, il capitano Dinesen che proviene dalla Danimarca, raggiunge la Patagonia con la figlia quindicenne Ingeborg per svolgere un lavoro come ingegnere dell'esercito argentino. Quando Ingeborg si innamora di un giovane soldato e fugge con lui, il capitano arriva in territorio nemico per ritrovare la coppia. Gli rubano il cavallo, cammina sempre più stanco e privo di speranza, sapendo quale sarà il suo destino.
(I funghi, 2014) è firmato dall’ottimo regista colombiano Oscar Ruiz Navia che, a soli trentadue, anni ha saputo imporsi nel panorama internazionale con titoli importanti presentati in vari festival dove ha vinto premi riservati alle opere prime o decretati da giuria di critici (FIPRESCI). Il film racconta una storia di povertà ma con persone felici perché riescono ad essere se stesse. Perfetta la scelta degli interpreti, bellissimo il personaggio della nonna molto malata che dà serenità e fiducia al nipote. Ogni sera, dopo il lavoro, Ras dipinge graffiti sui muri del suo quartiere, a est di Cali. Durante il giorno è un operaio edile un poco svagato, è figlio di Maria, una mulatta emigrata con la speranza di offrire al giovane un futuro migliore. Ad un certo punto il giovane non torna a casa e inizia a sognare ad occhi aperti. La madre soffre perché crede che sia perseguitato da qualche spirito che lo possa portare alla pazzia. Perde il lavoro per aver rubato della pittura con cui dipinge un grande murale nel parcheggio vicino a casa sua. Senza denaro per aiutare la madre vaga per la città in cerca di un altro giovane artista di graffiti, Calvin, uno studente d'arte che vive giorni difficili dopo il divorzio dei genitori e il cancro che ha colpito la nonna. I due vagano senza meta, e lungo la strada arricchiscono la vita con un senso di una immensa libertà. Bello e convincente, il film coinvolge in una storia attuale e molto interessante.
Mr. Kaplan (2014) di Alvaro Brechner dimostra come temi sicuramente difficili possano essere trattati in maniera lieve, facendo sorridere senza per questo limitare la possibilità da parte del pubblico di provare forti emozioni. Il trentanovenne regista è uno dei nomi più interessanti autori del cinema uruguaiano, un settore che è riuscito a crearsi uno spazio importante nel mondo del Latino America. I suoi corti sono stati presentati in oltre centocinquanta festival e venduti alle televisioni di una quindicina di paesi. L’ultimo lungometraggio da lui diretto, Mal dia para pescar (Un brutto giorno per pescare, 2009) è stato ospitato da sessanta manifestazioni cinematografiche. Il suo mondo è fatto di amore per il grande schermo, citazioni, grande capacità nel raccontare in maniera molto piacevole qualsiasi storia. Irritato dalla sua vecchiaia e annoiato da una vita monotona, l’ebreo James Kaplan è succube dell'angoscia dell'oblio. Un giorno passato sulla spiaggia gli darà una chance inaspettata per coinvolgere la sua vita in un'avventura epica e straordinaria: un uomo misterioso, anziano e solitario gli fa pensare che possa essere un nazista. Il protagonista chiede e ottiene aiuto ad onesto ex poliziotto Wilson Contreras, insieme affrontano un'indagine donchisciottesca per tentare di consegnare alla giustizia tedesca quello che ritengono un criminale di guerra. Ovviamente, non sempre ciò che appare è realtà. Il settantasettenne Héctor Noguera interpreta con grande ironia il suo personaggio, il corpulento Néstor Guzzini ha un volto molto espressivo che riesce a trasmettere gioia e dolore, paura e voglia di vivere.
Il trentottenne argentino Diego Lerman, ha prodotto, dal 1999 ad oggi molti corti, serie televisive e documentari. Al settimo lungometraggio come regista dimostra di avere maturato uno stile sicuro ed originale che gli permette di raccontare storie, anche se non originali, con bravura e fantasia. Refugiado (Rifugiato, 2014) potrebbe essere un testo teatrale e, in certi momenti, i dialoghi danno l’impressione che ci possa essere a monte una commedia. Un bimbo di sette anni e sua madre sono costretti ad abbandonare velocemente la casa dove vivono a causa dall’ennesimo atto di violenza del padre e cercare un luogo sicuro. La donna è all’inizio di una seconda gravidanza e si sente ancora più responsabile dell’incolumità di tutti. Inizia così la peregrinazione alla ricerca di un luogo dove i due possano sentirsi sicuri e protetti ma è molto più difficile di quanto si poteva pensare. Raggiunge la casa della madre, con cui non ha più rapporti da anni, e l’anziana li accoglie senza fare troppe domande. E’ un road movie ben sviluppato, un dramma che non disdegna, per stemperare le scene emotivamente più intense, qualche rilassante momento narrativo. A questo va aggiunto il profumo di thriller che serpeggia per tutto il film. La psicologia del bambino che diviene involontario complice del padre è resa bene, ottimi i dialoghi che sottolineano un momento molto drammatico: il piccolo crede alla mamma ma non può accettare che il padre sia divenuto un suo nemico. Julieta Díaz, con esperienze principalmente maturate alla televisione, riesce a non essere mai melodrammatica e dà alla figura della madre dolente una grande espressività.
PREMI CORALES – 36° Edizione del Festival Internazionale del Nuovo Cinema Latinoamericano de L’Avana.
Lungometraggi di Fiction
Primo Premio
Conducta (Condotta), di Ernesto Daranas (Cuba)
Premio Speciale della Giuria
Tierra en la lengua (Terra nella lingua), di Rubén Mendoza Moreno (Colombia)
Premio per la migliore regia
Relatos salvajes (Storie pazzesche), di Damián Szifrón (Argentina)
Premio per la migliore attrice protagonista
Geraldine Chaplin, per Dólares de arena (Dollari di sabbia) (Repubblica Dominicana, Argentina, Messico)
Premio per il migliore attore protagonista
Armando Valdez Freire, per Conducta (Condotta)
Premio per la migliore sceneggiatura
La tercera orilla (La terza riva), di Celina Murga, (Argentina, Germania, Olanda)
Premio per la migliore Fotografia
Refugiado (Rifugiato), di Diego Lerman (Argentina, Polonia, Francia, Colombia, Germania)
Premio per la migliore direzione artistica
El cerrajero (Il fabbro), di Natalia Smirnoff (Argentina)
Premio per il migliore montaggio
Relatos salvajes (Storie pazzesche), di Damián Szifrón (Argentina)
Premio per la migliore musica originale
Praia do Futuro (Spiaggia del futuro), di Karim Ainoz (Brasile, Germania)
Premio per il migliore sonoro
Praia do Futuro (Spiaggia del futuro), di Karim Ainoz (Brasile, Germania)
Premi ai cortometraggi o mediometraggi di Fiction
Sin Corazón (Senza cuore), di Tiao e Nara Normande (Brasile)
Opere prime
Primo premio
Güeros (parola usata in Messico per indicare una persona di carnagione chiara o con i capelli biondi o rossi), di Alonso Ruiz Palacios (Messico)
Premio per la direzione artistica
Obra (Lavoro), di Gregorio Graziosi (Brasile)
Premio Speciale della Giuria
Gente de bien (Brave persone), di Franco Lolli (Colombia, Francia)
Menzione speciale
Vestido de novia (Abito da sposa), di Marilyn Solaya (Cuba)
Premio del pubblico
Primo premio
Vestido de novia (Abito da sposa), di Marilyn Solaya (Cuba)
Secondo premio
Fátima o el Parque de la Fraternidad (Fátima o il Parco della Fraternità), di Jorge Perugorria (Cuba)
Terzo premio
Relatos salvajes (Storie pazzesche), di Damian Szifron (Argentina, Spagna)
Documentari
Primo premio per i lungometraggi
La muerte de Jaime Roldós (La morte di Jaime Roldós), di Manolo Sarmiento e Lisandra I. Rivera (Ecuador, Argentina)
Premio Speciale della Giuria
Marmato (Marmato), di Mark Grieco (Colombia, USA)
Primo premio per i Cortometraggi o Mediometraggi
Silvia (Silvia), di Leonardo Cabezas e Dianne Díaz (Cile)
Animazione e manifesti
Migliore manifesto
A Clara Sirnas Da Costa, per Sexta Serie (Sesta serie) (Brasile)
Premio Speciale della Giuria
A Sofía Carrillo, per La casa triste (La casa triste) (Messico)
Premio al migliore cortometraggio
A Pedro Harres, per Castillo y el armado (Castello e l’uomo armato) (Brasile)
Premio al migliore lungometraggio
A Ernesto Padrón per Meñique (Meñique) (Cuba)
Sceneggiatura inedita
Santa y Delfin (Santa e Delfino), di Carlos Lechuga (Cuba)
PREMIO di Postproduzione "NUESTRA AMÉRICA PRIMERA COPIA" (nostra America prima lavorazione)
El primero de la familia (Il primo della famiglia), di Carlos Leiva Barahona (Cile) - Premio di Post Produzione del Alba (Alianza bolivariana para América Latina y el Caribe - Alleanza bolivariana per le Americhe) Culturale per un totale di 100.000 dollari americani - Premio offerto da WILD FOX – ASSIMILATE - con licenza software CRATCH per un anno e l’appoggio di un supervisore degli effetti visivi.
Premio Habanero / HD Argentina.
Clever (Clever), di Federico Borgia e Guillermo Madeiro (Uruguay) - Premio di Post Produzione del Alba (Alianza bolivariana para América Latina y el Caribe - Alleanza bolivariana per le Americhe) Culturale per un totale di 50.000 dollari americani, premio Boogieman Media con varietà di immagini pubblicitarie, comunicazione in festival e aiuto nel lancio del film.
Espejuelos oscuros (Occhiali scuri), di Jessica Rodríguez (Cuba, Spagna) - Premio offerto da La Burbuja de Sonido consistente in 80 ore di utilizzo di uno studio del suono con tecnici specializzati; Premio di ARACNE DC per la masterizzazione.
El hijo de la guerra (Il figlio della guerra), di Julieta Ledesma (Argentina, Uruguay) - Premio offerto da La Burbuja de Sonido, consistente in 80 ore di utilizzo di uno studio del suono con tecnici specializzati.
FIPRESCI
Matar a un hombre (Uccidere un uomo), di Alejandro Fernández Almendras (Cile, Francia)
SIGNIS
Conducta (Condotta), di Ernesto Daranas (Cuba)
Menzione della giuria:
La pared de las calabra (La parete delle parole), di Fernando Pérez (Cuba)
Ruta 47 (Strada 47), di Vicente Ferraz (Brasile, Italia, Portogallo)
Premio Coral alla carriera
All’attore Benicio del Toro (Puerto Rico)
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