14 Aprile 2014
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32mo Festival del cinema fantastico - Bruxelles 2014 |
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Un passaggio aereo da Toronto a Princeton si trasforma in un viaggio nel tempo nell’anteprima europea del film canadese I’ll follow you down (Ti seguirò giù) di Richie Metha. Il film rimette in gioco Haley Joel Osment, il bambino interprete di Il sesto senso (The Sixth Sense, 1999) di M. Night Shyamalan, qui ventunenne nei panni di Erol, Gillian Anderson, la protagonista di X Files – Il film (The X Files, 1998) di Rob Bowman, qui nel ruolo di Marika la madre di Erol, e Rufus Sewel che dà vita a suo marito. Il film si apre all’aeroporto di Toronto nell’anno 2000, dove madre e bambino accompagnano il padre, Gabriel, fisico e professore universitario. Parte per una conferenza, e sparisce senza lasciare tracce. Tredici anni dopo la madre, distrutta dalla lunga attesa, si suicida. Erol, geniale studente di fisica, convive con un’amica d’infanzia. Sal, il nonno, suo mentore nonché docente universitario, scopre gli studi condotti da Gabriel per tentare un viaggio nel tempo con la speranza di incontrare Einstein nel 1946. Scosso dal suicidio della madre, Sal svela a Erol il progetto del padre e gli chiede di collaborare per tentare di farlo tornare nel 2013. Il giovane rifiuta di lavorare al progetto, ma quando vede sul giornale la fotografia di uno sconosciuto riverso sul selciato, e poco distante l’orologio che il padre aveva ereditato dal nonno, capisce che per evitare quella morte deve tentare di far tornare suo padre nel 2000. Senza indagare sulle ipotesi fantascientifiche del film e senza svelare l’epilogo, resta il fascino suscitato dalla possibilità di viaggiare nel tempo, e va sottolineato l’accento messo sulla dualità tra impegno scientifico e affetti familiari. Ciò detto, va rilevato il tono malinconico e pessimistico del racconto, i discutibili suicidi e la relativa utilizzazione degli attori. Da ricordare che nel 2013 questo regista ha girato due film: l’altro è Siddharth.
Esuberante, dinamico, fantasioso è invece quella che è considerata la più grande produzione cinematografica vietnamita: Once upon a Time in Vietnam (C’era una volta in Vietnam, 2013) di Dustin Nguyen (1962), produttore, regista e attore protagonista del film nei panni di Master Dao. Emigrato in America nel 1975, Nguyen è oggi uno degli attori orientali più celebrati a Hollywood. A metà strada tra fantasy e western, il film parte dai secoli nei quali monaci guerrieri giuravano fedeltà all’imperatore impegnandosi per tutta la vita a servirlo. Chi disertava, veniva ricercato e ucciso. Dal passato sbarca ai nostri giorni su una potente moto Master Dao, temibile guerriero che affronta a malincuore coloro che erano stati suoi amici. Quando giunge in un villaggio dove un vecchio prepotente gestisce commerci e prostituzione, si ha l’impressione che sia arrivato il giustiziere. Dao, invece, cerca una donna, Ahn, (Thanh van ngo), ex guerriero con la quale aveva avuto una relazione. Sposata con un panettiere, e madre di un bambino, lei non ha mai svelato la sua identità. Ora è giunta la resa dei conti, ma le cose si complicano sia per la complessa personalità di Dao, sia per l’opposizione del panettiere ai mafiosi del villaggio, sia, infine, per l’improvvisa comparsa del generale Long, lungo braccio dell’imperatore. Inutile tentare di riassumere un racconto che prende sempre nuove strade e si gonfia come un gioco di scatole cinesi. Resta lo spettacolo, gli scontri alla Sergio Leone, quelli sulla falsariga del cinema fantasy di Hong Kong, e gli scenari pieni di luce e di colori.
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