14 Aprile 2014
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32mo Festival del cinema fantastico - Bruxelles 2014 |
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32° Festival del cinema Fantastico di Bruxelles
Naviga a gonfie vele già da alcuni giorni il trentaduesimo Brussels International Fantastic Film Festival che dall’anno scorso si tiene nel cuore della città, nel famoso Palais des Beaux-Arts. Inventato, rinnovato e diretto dal 1983 dai mitici fratelli Georges e Guy Delmote, Annie e Freddy Bozzo, il BIFFF 2014 presenta oltre cento film e alcune anteprime mondiali. Quattro le sezioni di concorso. In quella dei thriller Giancarlo Giannini ha presentato il suo film del 2013 Ti ho cercata in tutti i necrologi, interpretato insieme con F. Murray Abraham, in catalogo col titolo inglese The Gambler who wouldn’t die.
L’attore-regista, accolto da calorosi applausi, è subito rientrato ieri in Italia. Nella decina di film che sono presentati ogni giorno, da segnalare le due anteprime mondiali di ieri. Uscito il 21 marzo a New York, e osannato dai critici, John Doe: vigilante di Kelly Dolen, che esordì nel 2002 con Reign in Darkness ha ottenuto un comprensibile l’assenso di critici e pubblico in un paese dove vige la pena di morte. John Doe, infatti, è un cittadino a cui un maniaco ha ucciso moglie e figlia che interviene quando la giustizia è troppo lenta o troppo compiacente, soprattutto nei casi di pedofilia e di violenze sulle donne. Niente di nuovo se si pensa ai film sul Charles Bronson giustiziere della notte, ma i tempi sono cambiati, e cambia l’approccio narrativo. Non un film con l’applauso per ogni vendetta contro i criminali, ma un film freddo, di impostazione giudiziaria, che si svolge in carcere e in tribunale, dove John Doe, per molti aspetti reo confesso, è sotto processo. Sicuramente meno sostenibile la parte nella quale il cittadino si sostituisce alla legge generando emulazione, ma efficace nel sottolineare tiepide applicazioni di leggi già di per se stesse insufficienti per gli efferati crimini commessi da sadici-maniaci recidivi. Gli attori sono Jamie Bamber, Daniel Lissing.
Deadly Virtues: Love, Honour, Obey (Virtù mortali: amore, onore, obbedienza) dell’olandese Ate De Jong (1953) che nel 1991 esordì con Va all’inferno Fred è uscito venerdì scorso nei cinema olandesi, ma domenica è stato applaudito a Bruxelles da un pubblico che si è intrattenuto a lungo col regista e con gli attori. Scritto da Mark Rogers, il film si deve far perdonare un inizio cruento che rischia di mettere fuori strada lo spettatore. Un venerdì sera, durante un rapporto sessuale, una giovane coppia di sposi viene sorpresa da uno sconosciuto. Tramortito e legato, il marito è messo nella vasca da bagno mentre lei crede che lo sconosciuto voglia violentarla. In realtà, il giovane maniaco, ritiene che il marito, si approfitti di lei e ha deciso di offrirle un pacato fine settimana. Il problema: se la donna non accetta le sue proposte, lui taglia un dito a Tom, poi gliene taglia un altro, questa, appunto, la crudeltà iniziale del film. Partita sulla falsariga del celebre Un tranquillo weekend di paura (Deliverance, 1972) di John Boorman, il film mette in risalto la solitudine e la fredda follia dello sconosciuto che dorme con Alison, partecipa ai rituali del pranzo e della colazione, senza però usarle violenza anche se continua a trattandola come una preda. Lunedì mattina il maniaco torna al suo lavoro di routine lasciando un biglietto di auguri alla moglie che libera il marito, quest’ultimo sembra preoccuparsi solo del probabile tradimento della moglie. A questo punto il film ha una svolta, e una rivelazione finale, delle quali lo sceneggiatore avrebbe dovuto tener conto all’inizio, prima di eccedere in mutilazioni per quella che poteva essere una tragicommedia come il suo film d’esordio. Gli attori sono Edward Akrout, Megan Maczko e Matt Barber.
Un passaggio aereo da Toronto a Princeton si trasforma in un viaggio nel tempo nell’anteprima europea del film canadese I’ll follow you down (Ti seguirò giù) di Richie Metha. Il film rimette in gioco Haley Joel Osment, il bambino interprete di Il sesto senso (The Sixth Sense, 1999) di M. Night Shyamalan, qui ventunenne nei panni di Erol, Gillian Anderson, la protagonista di X Files – Il film (The X Files, 1998) di Rob Bowman, qui nel ruolo di Marika la madre di Erol, e Rufus Sewel che dà vita a suo marito. Il film si apre all’aeroporto di Toronto nell’anno 2000, dove madre e bambino accompagnano il padre, Gabriel, fisico e professore universitario. Parte per una conferenza, e sparisce senza lasciare tracce. Tredici anni dopo la madre, distrutta dalla lunga attesa, si suicida. Erol, geniale studente di fisica, convive con un’amica d’infanzia. Sal, il nonno, suo mentore nonché docente universitario, scopre gli studi condotti da Gabriel per tentare un viaggio nel tempo con la speranza di incontrare Einstein nel 1946. Scosso dal suicidio della madre, Sal svela a Erol il progetto del padre e gli chiede di collaborare per tentare di farlo tornare nel 2013. Il giovane rifiuta di lavorare al progetto, ma quando vede sul giornale la fotografia di uno sconosciuto riverso sul selciato, e poco distante l’orologio che il padre aveva ereditato dal nonno, capisce che per evitare quella morte deve tentare di far tornare suo padre nel 2000. Senza indagare sulle ipotesi fantascientifiche del film e senza svelare l’epilogo, resta il fascino suscitato dalla possibilità di viaggiare nel tempo, e va sottolineato l’accento messo sulla dualità tra impegno scientifico e affetti familiari. Ciò detto, va rilevato il tono malinconico e pessimistico del racconto, i discutibili suicidi e la relativa utilizzazione degli attori. Da ricordare che nel 2013 questo regista ha girato due film: l’altro è Siddharth.
Esuberante, dinamico, fantasioso è invece quella che è considerata la più grande produzione cinematografica vietnamita: Once upon a Time in Vietnam (C’era una volta in Vietnam, 2013) di Dustin Nguyen (1962), produttore, regista e attore protagonista del film nei panni di Master Dao. Emigrato in America nel 1975, Nguyen è oggi uno degli attori orientali più celebrati a Hollywood. A metà strada tra fantasy e western, il film parte dai secoli nei quali monaci guerrieri giuravano fedeltà all’imperatore impegnandosi per tutta la vita a servirlo. Chi disertava, veniva ricercato e ucciso. Dal passato sbarca ai nostri giorni su una potente moto Master Dao, temibile guerriero che affronta a malincuore coloro che erano stati suoi amici. Quando giunge in un villaggio dove un vecchio prepotente gestisce commerci e prostituzione, si ha l’impressione che sia arrivato il giustiziere. Dao, invece, cerca una donna, Ahn, (Thanh van ngo), ex guerriero con la quale aveva avuto una relazione. Sposata con un panettiere, e madre di un bambino, lei non ha mai svelato la sua identità. Ora è giunta la resa dei conti, ma le cose si complicano sia per la complessa personalità di Dao, sia per l’opposizione del panettiere ai mafiosi del villaggio, sia, infine, per l’improvvisa comparsa del generale Long, lungo braccio dell’imperatore. Inutile tentare di riassumere un racconto che prende sempre nuove strade e si gonfia come un gioco di scatole cinesi. Resta lo spettacolo, gli scontri alla Sergio Leone, quelli sulla falsariga del cinema fantasy di Hong Kong, e gli scenari pieni di luce e di colori.
Dieci film al giorno nelle sale grandi del Palais des Beaux-Arts per il Festival, quotidianamente assediato da lunghe file di appassionati per la festa di cinema che chiude alla vigilia di Pasqua. Grande la partecipazione delle cinematografie orientali, guidata da Giappone e Cina, ma uno spazio originale è quello conquistato dalla Corea del Sud. Accanto a Moebius di Kim Ki-duk, già in concorso a Venezia, due thriller d’autore lungamente applauditi: Gam-si-ja-deul (Occhi freddi) di Jo Ui-seok & Kim Byung-seo, Jo-nan-ja-deul (Intrusi) di Noh Young-seok. Il primo è il remake del film di Hong Kong Eye in the Sky (Occhio in cielo) di Yau Nai-Hoi prodotto da Johnnie To. Ritenuto da molti, migliore dell’originale, si apre in un vagone della metropolitana dove una giovane aspirante detective annota movimenti sospetti sotto gli occhi di un superiore che dovrà decidere sulla sua ammissione. Superato brillantemente l’esame, la ragazza entra in un gruppo che deve risolvere una rapina perfetta operata in una grande banca. Guidati da un criminale freddo e sperimentato, i banditi non hanno lasciato tracce. Le indagini partono da un fotogramma registrato dalla cinepresa di un negozio. Ci vorranno mesi e insuccessi prima di individuare i fuorilegge. Il film descrive le frustrazioni degli agenti e i rapporti interni alla squadra sottolineando il comportamento della giovane Yoon-ju Han, a volte coraggioso e geniale, in altri casi emotivo e insubordinato. Il film è stato un grande successo del box office coreano e dura circa due ore. E’ Splendidamente interpretato da buoni e da cattivi in un memorabile primo tempo da thriller, spesso allentato dal comportamento eccentrico del commissario nei riguardi della neofita. E la tensione è costante anche nel secondo tempo che sembra però dilatarsi per eccesso di ricerca di dettagli tecnologici.
Appena uscito sugli schermi coreani, dopo essere stato presentato al Festival di Toronto, Intrusi, commedia nera, è il secondo film di Noh Young-seok dopo il successo di Daytime Drinking (Giornata di bevute, 2008). Soggetto non nuovo, ma attentamente studiato nei particolari e nei rilievi psicologici, questo di un giovanissimo scrittore che lascia Seul per andare a scrivere in un paesaggio di montagna. Conoscenti gli hanno gli hanno dato le chiavi di casa, e Sang-jin si ritrova isolato in mezzo alla neve in una villa a mezz’ora di distanza dal centro abitato. Forse è la situazione che andava cercando, ma non dura molto. Prima due cacciatori, poi quattro giovanotti sbandati partiti per un fine settimana in montagna, poi un ex detenuto conosciuto durante il viaggio, turbano la sua quiete. Inoltre, notizie dello sbarco di agenti nordcoreani che si sarebbero rifugiati in montagna mettono tutti in allerta. Lo scrittore, timido e inoffensivo, si trova al centro di sollecitazioni sempre più pressanti. Una ragazza isterica s’insedia nella casa, i giovani si ubriacano. Quando Sang-jin scopre un cadavere nella neve, viene incolpato e legato. Un poliziotto, chiamato dalla ragazza, deve decidere della sua sorte. Altri personaggi e altri avvenimenti capovolgono la situazione. Non c’è un gran finale: diciamo pure che non c’è finale, ma le tensioni del racconto e l’affrontamento dei personaggi hanno appassionato il pubblico che ha accolto il film con una calorosa ovazione.
Incubi frequenti e orrori quotidiani s’intrecciano in alcuni film europei visti al festival. Dal venerdì nero del giovane funzionario Edward Arkham, interprete del britannico Dementamania di Kit Ryan, all’allucinato vagare del giovane sconosciuto, nello svedese The Hour of the Lynx (L’ora della lince) di Soren Kragh-Jacobsen, alla bestiale e disumana ferocia dello spagnolo Omnivores (Onnivori) di Oscar Rojo. Sam Robertson, popolare attore della serie Coronation Street, è il protagonista del film inglese, sorta d’indagine introspettiva della mente di un giovane funzionario di talento avvilito da frustrazioni e da beghe impiegatizie. Si da il caso che alzandosi dal letto, posi il piede sul pungiglione di un insetto, e che la sua giornata si riempia di strane visioni. Il suo comportamento discreto e distaccato è spesso interrotto da scene violente nelle quali aggredisce e minaccia colleghi invadenti e noiosi. Confonde visioni surreali con immagini della realtà in un venerdì nero nel quale crede di affogare. Tuttavia, come suggerisce il sottotitolo, La realtà non è un’opzione, ed Edward dovrà riuscire ad attraversare indenne quel giorno sfortunato. In equilibrio tra false cortesie e istinti criminali, il film descrive in ottantatré minuti e con alcuni spunti ironici gli improbabili sfoghi di frustrazioni quotidiane.
L’approccio del film svedese, tratto da un dramma di Per Olov Enquist, si potrebbe definite ecumenico. In una notte di neve, un giovane squilibrato uccide una coppia di anziani e tenta di darsi fuoco per espiare la colpa, ma la polizia riesce a fermarlo. Due anni dopo, la giovane psicologa che sta studiando il suo caso, chiede l’aiuto di una donna sacerdote. Il suo, infatti, è un metodo aggressivo, mentre quello mite del sacerdote si rivela vincente: il giovane riprende a parlare e le racconta pagine della sua infanzia. Soren Kragh-Jacobsen, regista di molti film tra i quali Mifune, ha avuto il sostegno di due famosi attori, Sofie Grabol e Soren Malling.
Non è facile parlare del film spagnolo dove viene servito a prezzi proibitivi cannibalismo di lusso. Il regista prende spunto da un lontano passato dove un bambino affamato si avventa sul corpo della madre morta. Sessant’anni dopo, Dimas è un ricco e grasso signore di città che ha fatto del cannibalismo un affare. Amico di personaggi ricchi e annoiati ha aperto un ristorante clandestino. Un giornalista, sollecitato da un famoso editore, riesce a inserirsi tra i clienti con l’intenzione di scrivere un documentato resoconto. Per essere ammesso, però, dovrà mangiare carne umana diventando così complice degli assassini. In qualche modo riuscirà a cavalcare la tigre. Vedere film con migliaia di zombie che si mangiano tra di loro è come vedere un cartone animato. Davanti ad alcune scene orrifiche di Omnivores dove persone reali vengono catturate e trattate come bestie nel candore di un racconto che si vorrebbe forse filosofico, ma che è sicuramente peggiore di un mattatoio. Oscar Rojo, infatti, insiste in alcune scene di brutalizzazione che andrebbero appena suggerite. Da notare che prima della proiezione del film, il regista ha cantato una canzone per intrattenere e ingraziarsi il pubblico.
Il festival si chiude col 29th Bal des Vampires nella Brussels Event Brewery, una festa che si protrarrà per tutta la notte e che alle due del mattino assegnerà il premio al miglior costume. Tra le ultime cose viste, merita una citazione Halley, esordio del regista messicano Sebastian Hofmann, ottantaquattro minuti di orrore quotidiano attraverso la descrizione del lento disfacimento di un corpo, quello di Beto, guardiano in una palestra di fitness. Si potrebbe definire una progressiva putrefazione del fisico che lui ogni mattina tenta di disinfettare con polveri e unguenti, e di serrare con bende e cerotti, prima di irrorarlo di profumi. Poi, apparentemente intatto, Beto si reca al lavoro tra persone che scoppiano di salute. Rigorosamente interpretato da Alberto Trujillo che dà vita a un dipendente sulla quarantina che, alla fine, decide di dare le dimissioni. Silvia, gerente della palestra, ha un debole per lui e, è per dissuaderlo dall’andarsene lo invita a casa a una cenetta con musica. Lui accetta, ma sarà un ospite totalmente passivo. Tornando a casa, però, riaffiorano le sollecitazioni della donna che spingono Beto a masturbarsi. Sarà l’inizio di una fine annunciata. Descritta con l’occhio di un entomologo, la routine quotidiana del guardiano offre spunti ripugnanti e osceni senza necessità di mettere in scena centinaia di zombie.
Tra gli aspetti curiosi del Festival, il rilievo che sta prendendo il cinema cinese di fantasy. Girati con consistenti budget e con profusione di effetti speciali, i film sono spesso sequel di successi popolari. Young detective Dee: Rise of the Sea Dragon (Il giovane detective Dee: l’ascesa del mostro marino) di Tsui Hark segue Young detective Dee: Mistery of the Phantom Flame (Il giovane detective Dee, il mistero della fiamma fantasma, 2010), proponendo un giovanissimo Dee che nel 665 a.C. sbarca nella capitale in crisi dove un mostro marino ha distrutto la flotta dell’imperatrice Wu. Wuershan, regista di Painted Skin (Pelle dipinta, 2008) torna alla ribalta con Painted Skin: the Resurrection (Pelle dipinta: la resurrezione) descrivendo il dinamismo della principessa Jin che si avventura alle frontiere dell’impero per ritrovare l’uomo che in segreto ha sempre amato. L’uno e l’altro mescolano la narrazione fantasy con scene che ricordano i racconti da Le mille e una notte elaborati a Hollywood negli anni cinquanta.
Co-prodotto da Hong Kong e Repubblica cinese, distribuito come gli altri due da Huayi Brothers, Control (Controllo) è invece un thriller di novanta minuti, diretto dal giovane Kenneth Bi. Definito techno-thriller su un gioco di manipolazioni e raggiri, il film descrive il percorso complesso, e spesso ripetitivo, di un giovane sotto ricatto nel mirino di due gang senza scrupoli.
Sicuramente di più facile approccio il film prodotto e interpretato da Jacky Chan, Jing cha gu shi 2013 (Police Story 2013) diretto da Sheng Ding che chiuderà il Festival.
E’ stato Las brujas de Zugarramurdi (Le streghe di Zugarramurdi), il film di Alex de la Iglesia, del quale abbiamo parlato dal Fantasporto portoghese, il trionfatore del 32nd Brussels International Fantastic Film Festival. La giuria internazionale gli ha assegnato il Corvo d’oro. Il film, inoltre, ha vinto anche il premio del pubblico. Il film cinese Control di Kenneth Bi ha avuto una menzione speciale.
Il Corvo d’argento è stato assegnato ex-aequo al film prodotto da Hong Kong, Cina e Giappone, Rigor mortis, opera prima di Juno Mak della quale abbiamo scritto da Sitges, e al sudcoreano Horror Stories 2, firmato da Min Kyu-dong, Kim Sung-ho, Kim Hui & Jung Bum-shik. Il Méliès d’argento è andato a una produzione di Irlanda e Inghilterra, Let us prey (Lasciaci cacciare), opera prima dell’irlandese Brian O’Malley.
La giuria dei thriller ha premiato il film di produzione indiano-britannica-olandese Monsoon Shootout, diretto da Amit Kumar e ambientato a Mumbai. La giuria 7th Orbit ha invece premiato di Svezia- Danimarca LFO
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