05 Novembre 2013
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54° Thessaloniki Film Festival 2013 |
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La chuplica del diablo (Il liquore del diavolo) di Ignacio Rodriguez è una di quelle opere che segnalano la forza del cinema cileno. Eladio è un anziano imprenditore, ferocemente anticomunista e sull’orlo del fallimento. Fabbrica con successo decrescente una sorta di grappa nazionale che nessuno più compera. In un ultimo tentativo di risalire la china prende con se un nipote sfaticato e marginale, ma neppure questo riesce a raddrizzare le cose. Ormai il mercato è sottoposto a regole precise, non si possono vendere le cose alla chetichella, come un tempo, e anche il tentativo di piazzare le bottiglie per strada a fiere e rodei non ottiene successo. Inutile insistere, un’epoca è finita e non c’è più spazio per gli artigiani della produzione. Dopo una lunga teoria di fallimenti, al maturo distillatore rimane solo la strada del chiudere bottega e, forse, la sua stessa vita. Il film è interpretato superbamente da Jaime Vadell e tratteggia con dolore e lucidità la fine di un’intera stagione travolta dall’industrializzazione di massa, anche nel campo degli alcolici. Il beveraggio che il distillatore s’incaponisce a produrre nasce da una formula varata molti anni prima mettendo assieme alcol e una piccola quantità di polvere da sparo. Questa mistura appare citare un passato in cui il bere e il totalitarismo militare andavano a braccetto. Un periodo (definitivamente?) chiuso che solo un vegliardo rimasto fuori dal procedere della storia può continuare a rimpiangere.
Suzanne dalla francese Katell Quillévéré. E’ il ritratto doloroso di una giovane che, per amore, percorre in discesa l’intera scala sociale. La regista la segue dalla prima adolescenza quando, orfana di madre ma con accanto una sorella minore molto equilibrata, si trova a dover affrontare un gravidanza indesiderata. Partorisce un maschio, poi s’innamora di un trafficante di droga che le fa fare un’altra figlia e la trascina nella latitanza. Col passare degli anni perde sia la sorella, morta in un incidente stradale, sia l’affetto del padre, un camionista solido e razionale. Conoscerà la prigione, il figlio le sarà sottratto e si troverà ancor più sola. Il suo gesto finale, quello di denunciarsi al poliziotto che le sta controllando i documenti, assomiglia assai più che a un pentimento all’esplodere di una stanchezza del vivere che le ha chiuso ogni via d’uscita. Film come questo richiedono un contributo fondamentale all’rattrice che ricopre il ruolo principale e la giovane Sara Forestier mostra di disporre più che a sufficienza delle doti necessarie a sostenere un ruolo tanto importante e difficile.
Anche Zázrak (Miracolo) del ceco Juraj Lehotský ha al centro la figura di una giovane marginale. Ela è costretta dalla madre, che preferisce il suo ultimo amante alla figlia, ad entrare in una sorta di collegio assai simile ad un carcere minorile. In questo correzionale scopre di essere incinta, ma il brutale fidanzato non l’aiuta certo, anzi cerca persino di venderla come prostituta ad una banda di trafficanti di donne. Più che decisa a far adottare l’essere che porta in grembo, ci ripenserà subito dopo il parto e, forse, lo terrà con se. Il film descrive impietosamente una società, quella ex socialista, in cui tutto è diventato merce e gli esseri umani si comperano e vendono non meno delle cose. E’ un testo tetro e terribile, che sottolinea ancora una volta che, se prima si stava male, oggi la situazione non è migliorata di molto.
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