21 Ottobre 2013
Massimo Andrei è conosciuto soprattutto per la sua opera prima Mater Natura (2005) che aveva ottenuto un discreto riscontro di critica. Con Benur - Un gladiatore in affitto (2012) torna a indagare la vita degli emarginati, di chi vive al confine di una società sempre più individualista e arroccata nei propri interessi. Tratto dallo spettacolo teatrale di Gianni Clementi, narra una storia di normale povertà in cui tutto ruota attorno a tre personaggi, rispettando in questo l’originale teatrale sceneggiato dallo stesso drammaturgo. Il film racconta dell’incontro di una coppia formata da fratello e sorella con l'aggiunta di un bielorusso clandestino che è fondamentale per mettere in discussione i luoghi comuni che non permettono di dialogare, il tutto sullo sfondo della crisi economica che attaglia il paese. Titolo terribile per un film perfettibile ma interessante, una commedia in cui non si ride, ma si è costretti a pensare. Gente che si arrangia (l’italiano è figurante al Colosseo vestito da antico romano, lei lavora per un telefono erotico) e che sfruttano quest’uomo più sfortunato di loro. L’idea della donna, persona normalissima, che lavora per una chat erotica era presente anche in un film della serie Fantozzi, con la moglie che guadagnava in quella maniera per permettere al marito in pensione di fare un lavoro inutile, da lei segretamente pagato. Tuttavia in questo caso è il cardine della vicenda cui fa da contraltare il fratello, un ex stuntman che ha subito un grave incidente e si traveste da centurione per guadagnare qualche spicciolo davanti al Colosseo. Non riescono a pagare le bollette, rischiano lo sfratto ma arriva questo ingegnere bielorusso, clandestino, e lo incaricano di sostituire per una settimana l’ex cascatore. Il nuovo arrivato è inventivo, si massacra di lavoro e loro lo sfruttano ottenendo un certo benessere. E’ una favola amara con un finale riparatore, forse un po’ forzato, ma è anche un ritratto molto credibile della società che si protende verso il mondo dei nuovi poveri. Si respira un’atmosfera debitrice di certo neorealismo ma, soprattutto, delle tragiche commedie di Totò in cui si poteva vedere l’Italia più vera, senza censure che le grandi produzioni imponevano. Nicola (Nick) Pistoia è molto bravo, Paolo Triestino è mirabile mentre Teresa Del Vecchio è un po’ sopra le righe. Testo difficile, studio dei caratteri molto curato per un artista completo che qui ha firmato la sua opera seconda ma che spazia realmente in ogni dove della vita artistica italiana. Massimo Andrei è nato a Napoli nel 1967 ha conseguito la laurea presso l'Università Popolare dello Spettacolo. Ha lavorato con registi quali Giancarlo Cobelli, Antonio Calenda, Livio Galassi, Pierpaolo Sepe e i attori come Ernesto Calindri, Rino Marcelli e Carlo Giuffré per allestimenti destinati a lunghe tournèe. Nel 1997 si è laureato in Storia del Teatro e dopo gli studi drammatici presso l'A.I.A. (Atelier International de l'Acteur) di Parigi, ha seguito seminari di impostazione vocale e danza in Italia e all'estero. Ha lavorato per cinque anni nella compagnia teatrale di Vincenzo Salemme. Attore anche per il cinema, ha scritto, diretto e interpretato radiodrammi per la RAI, ha collaborato, come paroliere, per Nicola Piovani, Lino Cannavacciuolo e Germano Mazzocchetti. Non gli manca l’esperienza nelle serie televisive di buon riscontro quali Valeria medico legale, con Claudia Koll, regia di Francesco Lazzotti e Una Famiglia in giallo, con Giulio Scarpati sempre per la regia di Francesco Lazzotti.
Un’attenzione particolare i selezionatori del Festival la dedicano ai cortometraggi presentati in apertura delle proiezioni sia della Sezione Ufficiale che del Punto d’incontro. A loro è dedicata una giornata intera e molte sono le sorprese interessanti. Parlando di quanto visto fino ad ora, è d’obbligo segnalare alcuni titoli. Nadador (Il nuotatore, 2013, Spagna) di Dani de la Orden è una delicata vicenda in cui un tredicenne è innamorato di una ragazzina più vecchia di lui di un anno che è anche sua vicina di casa ma che non gli ha mai parlato. Si incontrano sempre nella piscina ma il giovane non riesce a tuffarsi e per questo è in crisi, Una notte si fa chiudere dentro, si lancia senza paura nell’acqua, prende un colpo alla testa e inizia a sognare di essere riuscito nell’impresa, che la ragazza finalmente gli parli e che si sia innamorata di lui, che la sua vita sia cambiata in meglio. Tuttavia lo sguardo disperato del bagnino che tenta di rianimarlo riporta alla realtà. Splendidamente girato quasi tutto in subacquea utilizzando tonalità azzurre e rendendo evanescenti le figura che nuotano con l’uso di bollicine che rendono ogni cosa irreale, il regista dimostra grande padronanza del mezzo filmico che utilizza narrativamente in maniera perfetta. Se si pensa che è giovanissimo e che questo prodotto è stato realizzato come prova d’esame della nota scuola di cinema spagnola ESCAC, da lui ci si può e deve attendere ancora di più.
Canis (Cani, 2013, Spagna) di Marc Riba e Anna Solanas non fa un segreto di essersi ispirato alle opere d’animazione di Tim Burton utilizzando atmosfere dark e uno splendido bianco e nero. Sono diciassette minuti intensi in cui Teo, il giovane protagonista, riesce a sopravvivere in una casa assediata da cani assassini e da altri animali non amichevoli. Non certo adatto ad un pubblico troppo infantile, riesce a creare in più di una occasione la paura.
Il canadese Subconscious Password (Parola chiave per entrare nel subconscio, 2013) del cinquantaduenne Chris Landreth è un’elaborazione di immagini realizzate con esseri in carne ed ossa particolarmente esilarante ma anche frustrante. Parla di un uomo che incontra una persona che lui dovrebbe conoscere ma di cui non ricorda il nome. Disperatamente cerca di prendere tempo mentre il suo cervello rotea in maniera folle collegando quel volto a personaggi celebri che a lui sembra abbiano il nome del conoscente. Undici minuti esplosivi, pieno di trovate realizzato con una splendida animazione.
L’ Aurore boréale (L’aurora boreale, 2013, Francia) dell'israeliano Keren Ben Rafael ha uno sviluppo che ricorda Tutto in una notte (Into the Night, 1985, Usa) di John Landis. Sono le tre di notte e padre raggiunge di soppiatto nella casa della figlia da poco trasferitasi a vivere da sola. E’ in camicia da notte, vorrebbe dormire anche se il padre la vuole portare ad ammirare una rara aurora boreale. Alla fine la ragazza accetta controvoglia, esce vestita come è e si apposta dentro l’auto col genitore in un bosco sulle rive di un fiume. Arrivano alcuni poliziotti che pensano alla ragazza come ad una Lolita in mano ad un pervertito, ovviamente non hanno documenti e sono pesantemente maltrattati, la ragazza è anche palpeggiata. Convinti della tesi dei due, i poliziotti si allontanano e la ragazza, appena arrivano su di una strada asfaltata, scappa dal padre. Quando giunge a casa sente la televisione che commenta lo splendore di quella alba magica vissuta da loro drammaticamente e non vista. Si ride ma si pena anche un po’ per questi scalognati protagonisti. La bravura del regista sta proprio nel perfetto mix tra comicità e tensione che ha saputo creare.
F.F.
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