21 Ottobre 2013
Pioggia di applausi per due film in concorso, due opere differenti ma ambedue pieni di personaggi e di storie da raccontare con sentimento. Il primo, di prossima uscita in Italia, è la produzione italo-belga Marina di Stijn Coninx, che nel 1992 vinse qui la Spiga d’argento col film Daens. Il secondo, il film giapponese Tokyo kazoku (Una familia di Tokyo) di Yôji Yamada, già largamente applaudito alla Berlinale. Il primo è basato sull’autobiografia di Rocco Granata ed è un biopic che illustra il difficile rapporto padre-figlio, ma anche mette a nudo con coraggio e con rigore le durissime leggi che condizionavano nel dopoguerra l’immigrazione italiana in Belgio. Emarginati in baracche nel Limburgo di lingua fiamminga, agli immigrati era vietata qualsiasi forma di integrazione. Il contratto li obbligava a lavorare in miniera e conteneva una clausola che vincolava anche i loro figli, dopo i quindici anni, a scendere nelle gallerie. Stijn Coninx, muovendosi in bilico tra la pesante situazione sociale e alcuni interni di famiglia, narra in un paio d’ore la difficile formazione del giovane Rocco, bambino sradicato da un paese della Calabria, i contrasti col padre minatore, e la complicitá della madre nel suo tentativo di affermarsi in campo musicale. Donatella Finocchiaro e Luigi Lo Cascio interpretano i genitori di Rocco, l’esordiente Matteo Simoni, belga di origine italiana. Sarebbe troppo facile definirlo un film strappalacrime, ma va da sé che le dure condizioni di vita che precludevano agli immigrati qualsiasi affermazione sociale, e il miracolo di Rocco Granata che nel 1959 arrivò ad esibirsi al Carnegie Hall di New York, forniscano materia per un possibile melodramma. Tuttavia il regista muovendosi tra commedia e dramma sociale ha dato vita a una storia che avvince il pubblico anche se non apporta niente di nuovo al linguaggio cinematografico.
Diverso è lo sguardo disincantato che il regista Yôji Yamada getta su due anziani coniugi in visita a Tokyo dove vivono i tre loro figli. Omaggio al maestro Yasujiro Ozu di Tōkyō monogatari (Viaggio a Tokyo) da parte di un regista ottantaduenne, Tokyo kazoku intrattiene e incanta per circa due ore e mezzo scavando con mano lieve all’interno dei personaggi e facendo emergere caratteri e comportamenti che coinvolgono lo spettatore. Sessant’anni dopo il capolavoro di Yasujiro Ozu, il Giappone è cambiato. Il viaggio di Shukichi e Tomiko, da una piccola isola al cuore della moderna megalopoli, mostra le difficoltá di adattamento al nuovo, ma anche l’impoverimento degli affetti familiari in un mondo in crisi e in rápida trasformazione nel quale i giovani non hanno piú tempo per gli anziani. Una figlia parrucchiera li ospita un paio di giorni, poi offre loro tre notti in albergo perché dovrá ospitare colleghi per una riunione di lavoro. Il figlio medico delega alla moglie le incombenze dell’ospitalitá. Il piú giovane, considerato da tutti un disastro, si rivela invece attento e affettuoso. E sará proprio con la sua immagine di ragazzo dal cuore d’oro e con la conoscenza della sua compagna, una libraia semplice e sensibile, che l’anziana Tomiko prenderá congedo da Tokyo e dal mondo. Gli applausi non si sono fatti attendere, scroscianti e avvolgenti, come era stato anche per Marina. A questo regista non si puó che augurare un futuro alla Manoel de Oliveira e aspettare il suo ventesimo film.
In concorso anche il film catalano La por (La paura) di Jordi Cadena, sessantasei anni e una decina di film all’attivo. Torniamo dalle parti di Short Term 12 di Destin Daniel Cretton, agli abusi e violenze in famiglia. L’opera dura appena settantasei minuti, quasi tutti in un interno, e mostra la paura che regna in un piccolo nucleo familiare. E’ il padre a incutere angoscia all’adolescente Manel e alla sorellina di sette anni, e soprattutto alla moglie che riempie di percosse. Il ragazzo vorrebbe trovare un lavoro per portar via la madre e la sorella, ma la rabbia del padre, il cui silenzio incute il terrore, esplode in maniera incontrollabile. Film freddo e rigoroso, è una sorta di microscopio che ingrandisce, mettendo in evidenza, guasti quotidiani spesso nascosti dalle stesse vittime.
R.F.
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