09 Ottobre 2012
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7mo Festival Internazionale del Film di Roma |
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Sembrava che le sale dell’Auditorium di Renzo Piano fossero un immenso regalo per una Kermesse di cinema, ma il 7° Festival Internazionale del film di Roma, oltre a quelle ne ha costruite altre tre temporanee, due enormi e una di 270 posti. E gli spettatori non mancano per questa maratona di 9 giorni con 150 film in catalogo. Dopo Fratelli d’Italia, Claudio Giovannesi ha girato un film che trae il titolo da Profezia di Pier Paolo Pasolini. In concorso, Alì ha gli occhi azzurri mette in scena i ragazzi di vita cinquant’anni dopo quelli di Pasolini in una società completamente trasformata. Non in meglio, ma dalla borgata si passa alla realtà multietnica della periferia romana, tra Tor di Valle e Ostia. Al centro tre studenti sedicenni, Nader di origini egiziane, il rumeno Zoran e Stefano. Prima di andare a Scuola, Stefano e Nader rubano un motorino e compiono una rapina in un negozio. E’ la premessa per mostrare lo scollamento tra i ragazzi e le famiglie. Nader è in rotta con la famiglia perché si vuole fidanzare con una italiana. E’ la madre a ricordargli che la loro religione lo proibisce. Stefano non ha problemi col padre perché tace o mente su ciò che fa. Zoran è un ragazzo equilibrato, ma quando Stefano pugnala un giovane rumeno in una discoteca, è messo sotto pressione dai connazionali. Il padre di Stefano suggerisce di formare un gruppo per affrontare i rumeni che tallonano il figlio, ma Nader s’incolpa del fattaccio, e rimane solo. Il film dura 98 minuti e si avvale dell‘originale fotografia di Daniele Ciprì per raccontare le miserie e le contraddizioni del comportamento di giovani immigrati e delle periferie urbane. Alì tenta di far capire alla madre che la sua relazione con un’italiana è un fatto che lei deve accettare, ma nello stesso tempo non ammette che il suo migliore amico abbia una relazione con sua sorella. Non solo contraddizioni, ma anche incomprensioni e fatalismi in un mondo dal difficile amalgama tra le differenti etnie che popolano le periferie. E i protagonisti sembrano i personaggi: Nader Sarhan, Stefano Rabatti, Brigitte Apruzzesi, Valenti Adrian.
Totalmente diverso il film francese in concorso, Main dans la main (La mano nella mano), terzo film di Valérie Donzelli dopo La guerre est déclarée. Sembra una fantasia, eccentrica e sentimentale, con due protagonisti da commedia, ma dopo l’esposizione dell’idea dell’incontro fatale tra una celebre insegnante di danza dell’Opera di Parigi e un giovane vetraio di periferia, che dal momento che s’incontrano ripetono gli stessi movimenti e gli stessi percorsi simili a marionette, non ci sono quasi più sviluppi narrativi. Hélène ha quindici anni più di Joachim: la relazione platonica non dura molto, e il loro rapporto d’amicizia non s’incrina, ma lui sente che deve staccarsi per trovare la sua strada e decide di farlo andando a New York. Senonché l’amica e assistente di Hélène si ammala gravemente e i due s’incontrano al suo capezzale. Protagonisti Valérie Lemercier e Jérémie Elkaim in un film di 90 minuti.
Il terzo film in concorso viene dal Giappone, e il regista è uno dei più noti, Takashi Miike. Con più di quindici film all’attivo, in maggioranza violenti, roboanti e fantastici, Miike non si smentisce. Questa volta porta l’horror in un liceo e il massacro è servito. Aku no kyoten (Il canone del male) dura 129 minuti e descrive il comportamento di un professore giovane e brillante. Seiji Hasumi, insegnante modello di un liceo privato, è molto amato dagli studenti. Risolve tutti i problemi, non solo nell’insegnamento ma anche nei rapporti sociali interni all’istituto. Non si sa molto, però, del suo passato e quando lo scopriranno sarà troppo tardi. Seiji Hasumi, infatti, ha il controllo di tutto e di tutti, ma quando lo perde decide di ristabilirlo castigando quelli che ritiene colpevoli. Schizofrenico e paranoico, comincia eliminando studenti e professori, o per torti presunti o perché stanno scavando nel suo passato. La sua ira da vita a uno psico-thriller che sfocia in un’immensa strage. E non si tratta di un gioco di massacro ma di una caccia all’uomo simile a un mattatoio.
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