Un buon borghese, di quelli di una volta per bene e corretto, si è ritirato e ha aperto un piccolo studio medico in un paesino di campagna ove vive in condizione di quasi eremita. I figli e il fratello vanno a trovarlo e a fargli festa per il suo compleanno, ma le visite che si riveleranno null’altro che un sogno (meglio una speranza) mon servono a rimetterlo in careggiata. La vita attiva è passata, gli affetti familiari non esistono più e, in ogni caso, non riuscirebbero a lenire un male di vivere che lo attanaglia in maniera irrimediabile. Si nota all’imbrunire di è un testo melanconico dedicato a un grande attore e, non a caso, Silvio Orlando la ha scelto per questo momento della sua vita professionale.
Lucia Calamaro, autrice e regista dello spettacolo, punta giustamente su di lui e ne mette in risalto l’ironia e la tristezza immergendo la proposta in un senso di morte, meglio di fine esistenza, che non è solo la rappresentazione di un momento esistenziale, ma può anche essere letta come il tramonto di un’intera classe dirigente ormai incapace di assolvere i compiti che la società le assegna. In poche parole, una grande prova d’attore che va ben oltre il momento in cui si sviluppa per diventare un possibile emblema. Se c’è un appunto da fare allo spettacolo è la distanza fra l’interprete principale e gli altri che, solo a tratti, sono in grado di reggere il ritmo imposto dal capocomico. È un peccato in quanto questa latitante coralità impedisce al testo di sviluppare sino in fondo il suo valore di simbolo di una classe sociale non più in grado di guidare un intero paese. In altre parole, anche il ruolo sociale del medico (un tempo una delle figure guida di qualsiasi gruppo sociale) perde peso lasciando spazio a una crisi individuale meno significativa. Pur con questi limiti lo spettacolo sia qualifica come una dei più interessanti della stagione.