Jean-Baptiste Poquelin (1622 – 1673), detto Molière, scrisse L'improvvisazione di Versailles (L'Impromptu de Versailles) nel 1663, lo fece su suggerimento di Luigi XIV di Borbone, detto il Re Sole, (1638 –1715), che si deliziava con i contrasti nati fra la compagnia molieriana e quella dell'Hôtel de Bourgogne.
Il copione di quest’opera è poco più di un canovaccio in cui i comici hanno largo spazio per l’improvvisazione. Paolo Rossi ha preso spunto da quel testo e da altri del commediografo francese per allestire Molière: la recita di Versailles. Sono due ore abbondanti di spettacolo in cui dodici attori immaginano di dover mettere assieme in poche ore un testo per far divertire il Re che lo ha comandato al capocomico, lasciandogli ben poco tempo per costruirlo. L’attore e il regista Giampaolo Solari saccheggiano senza remore altri testi del commediografo seicentesco nel tentativo di allestire rapidamente un divertimento che piaccia al sovrano. Si va dal Misantropo (Le Misanthrope ou l'Atrabilaire amoureux, 1666), al Il Tartufo (Le Tartuffe ou l'Imposteur, 1664) sino a Il malato immaginario (Le Malade imaginaire, 1673) opera che evoca tragici ricordi visto che il commediografo ebbe, proprio mentre recitava questo testo, il malore che lo portò alla tomba. I vari momenti sono inframezzati da pistolotti anarchicheggianti, alcuni molto divertenti, del comico riferiti all’oggi, alla corruzione dei funzionari pubblici e dei politici, alla follia dei consumi e all’ignoranza di quanti governano la cultura di questo paese. Una costruzione tutt’altro che disprezzabile, ma che perde interesse a causa della frammentarietà di un ordito costruito più su accostamenti casuali che non su giustapposizioni ragionate e funzionali. La stessa parte musicale, affidata a I virtuosi del Carso, appare puramente decorativa.