Il notissimo fumettista sardo Igor Tuveri (in arte Igort), ma che ha ottenuto il grande successo all’estero, a 60 anni debutta come regista portando sullo schermo l’omonima sua graphic novel. Il risultato non è negativo anche se un conto è scrivere (ed illustrare) fumetti, altro è riuscire a fare rivivere certe emozioni sul grande schermo. Con l’appoggio soprattutto di un produttore belga e la fiducia datagli da italiani e francesi, è riuscito a realizzare un film interessante, anche se non sono pochi gli spunti non sviluppati in maniera composita. Ambientato negli anni ’70 quando i guappi erano professionisti della morte temuti ma anche rispettati, racconta di una Napoli in cui poca luce illumina le scene di vari delitti, il buio è il vero protagoniste, le ombre ‘imitano’ le tecniche utilizzate da Igort nel suo mondo dei fumetti. Quando Servillo recita fuori campo, il film sale di livello e riesce anche a caricarsi di grande drammaticità. Ma nei 5 capitoli del suo sviluppo pochi sono questi momenti più interessanti e la scelta di dare praticamente tutte le battute a Servillo, costringe Valeria Golino e Carlo Buccirosso allo scomodo ruolo di comprimari senza battute o, meglio, senza importanti contenuti nei loro dialoghi. Igort è artista completo, anche musicista, scenografo e grafico per riviste famose; tutto questo lo inserisce nel mondo di Peppino, un ex killer professionista che prova il dolore di qualsiasi padre quando il figlio, per di più unico, viene ammazzato.
Guappo e sicario in pensione, torna in pista dopo l’omicidio di suo figlio, per lui ancora più drammatico perché il ragazzo usava una pistola appena regalatagli - in anticipo del compleanno - dal padre proprio per quel omicidio dove morirà. Questo avvenimento tragico innesca una serie di azioni e reazioni violente, scintilla per cominciare una nuova vita e occasione per eliminare tutta la famiglia per cui aveva lavorato da sempre. Viene aiutato da un amico e collega noto come Totò o’ Macellaio che viene anche gravemente ferito durante uno dei tanti scontri a fuoco. Tutto, però, sembra andare per il meglio con Peppino che si rifugia in un paese del Latino America facendo una vecchiaia serena, fino a quando non si scopre chi sono i veri mandanti dell’omicidio del ragazzo. È un affresco napoletano nell’Italia anni Settanta forse più da cantastorie che non da cronaca dei giornali. È una storia di amicizia, vendetta e tradimento ma non di rinuncia alla propria vita.