In Francofonia il russo Aleksander Sokurov racconta la strana collaborazione, nel 1940, fra il curatore del museo del Louvre, a Parigi, Jacques Jaujard (1895 – 1967), rimasto al suo posto anche sotto l’occupazione nazista e al servizio del governo collaborazionista di Vichy, e l’ufficiale tedesco conte Franziskus Wolff-Metternich (1893 - 1978).
I due, senza mai stipulare un’alleanza formale, si ritrovarono nella protezione e nella sottrazione dei tesori del grande museo francese alla cupidigie e alla volgarità degli altri gerarchi nazisti, Hitler in primo luogo. Il regista ricostruisce questa relazione mescolando sequenze di fantasia a brani di repertorio, immagini dei grandi quadri a fantasmi di personaggi fiabeschi (Marianna) o del passato (Napoleone Bonaparte, Stalin). Ne nasce un discorso suggestivo e attualismo sul legame fra l’arte e il potere, fra la forza della creazione artistica e il ruolo dominante della politica anche quando, è il caso di Napoleone, essa sfocia nella costruzione di uno dei maggiori musei del mondo le cui collezioni sono costituite, per buona parte, dalle opere trafugate dall’esercito francese durante le guerre da lui condotte. Qui il paragone con il dittatore sovietico è sostanziato dal ricordo del milione di morti durante l’assedio nazista di Leningrado (1941 – 1944). Un ricordo che potrebbe apparire un omaggio nostalgico se non fosse smentito dalla colonna sonora che accompagna le ultime immagini del film, quando l’inno della vecchia URSS risuona volutamente storpiato a ricordo della dissoluzione del primo paese socialista della storia. Non c’è nulla di lineare in questa rievocazione in cui s’incrociano le immagini del naufragio di un mercantile che trasporta i container in cui sono rinchiuse le maggiori opere del Louvre, il peregrinare di Napoleone Bonaparte e Marianna nelle sale del museo, la rievocazione immaginaria degli incontri fra l’alto funzionario francese e l’ufficiale occupante. Un film da centellinare immagine per immagine, sequenza dopo sequenza.