Fra il 1999 e 2008 Marco Bellocchio ha tenuto, a Bobbio in provincia di Piacenza, otto laboratori all’insegna di Fare Cinema. Al termine di ciascuna sessione gli allievi e il regista hanno girato vari materiali, i più noti dei quali riuniti sotto il titolo Sorelle. A due anni di distanza da quelle esperienze, il regista è ritornato sul tema, molto autobiografico, riunendo in un’opera unica diversi capitoli, tutti con la struttura di piccole opere autonome: si va da brani di quei laboratori a sequenze dei più noti film del regista. Ne nasce la storia di una famiglia, un testo in cui quasi tutti recitano ciò che sono e che, nonostante questo, si presenta come opera d’inventiva compiuta anche se articolata in più parti. Una saga parentale che vede i personaggi crescere d’età, passare dall’infanzia all’adolescenza, cogliere successi di carriera o naufragare nella disperazione professionale.
E’ un testo molto personale che riesce a coniugare l’autobiografia, con il racconto capace di cogliere l’interesse e i sentimenti del pubblico. Una confessione laica e aperta che sa essere anche storia compiuta e interessante. Una nota particolare merita la chiusura del film. Il funzionario municipale, amico di famiglia, che amministra il patrimonio delle due sorelle rimaste sempre nel paese, decide di chiudere la sua vita annegandosi nelle acque del fiume Trebbia, vestito con un vecchio abito da sera e con l’accompagnamento della celebre canzone Vecchio frak (1955) di Domenico Modugno (1928 – 1994). In brano volutamente surreale che contrasta con il taglio realistico del resto del film, cui mette una sorta di sigillo simbolico: la fine di un’epoca e, forse, la nascita di un nuovo mondo, anche culturale.